Testimone proveniente da “zona a rischio” per il coronavirus: il giudice rinvia il processo


Condividi su


Un processo viene rinviato poiché un testimone arriva da una zona a rischio coronavirus. Questa mattina, presso il Tribunale di viale De Pietro, il giudice monocratico della prima sezione ha disposto di differire l’ascolto di un teste della difesa, che proveniva dalla provincia di Milano. Anche se il comune non rientrava nella “zona rossa”, ma comunque ai limiti della stessa, si è deciso precauzionalmente di ascoltarlo in una successiva udienza.

Ricordiamo, infatti, che in base a quanto disposto in queste ore, dai Presidenti della Prima e Seconda Sezione, della Corte di Appello e della Procura Generale, le persone che provengono da zone rosse per coronavirus (come Lombardia e Veneto) devono segnalare la loro presenza all’ufficiale giudiziario. Inoltre, i processi si celebreranno porte chiuse, nel caso lo si ritenga opportuno. Anche perché, il codice di procedura penale consente la deroga alla pubblicità delle udienze, per ragioni di ordine pubblico.

Tali provvedimenti, intanto, hanno creato i primi malumori tra gli avvocati, che ritengono le misure inidonee a fronteggiare l’emergenza del coronavirus, creando soltanto disagi e rallentando l’andamento della giustizia. E nella giornata di domani si terrà una seduta straordinaria del Consiglio dell’Ordine per discutere una serie di proposte volte a contrastare il problema.
E in queste ore, anche le udienze civili di via Brenta sono “disciplinate”, in conseguenza di alcuni provvedimenti che prevedono, fra l’altro, le porte chiuse, con ingresso di due avvocati per volta e la distanza di due metri dai giudici.

L’intervento dell’avvocato Salvatore Donadei

E su questo punto, interviene l’avvocato Salvatore Donadei (Presidente Camera Civile Salentina e Coordinatore Regionale Camere Civili di Puglia), affermando che “tali modalità costituiscano un oltraggio alla dignità degli Uomini, prima ancora che dei Difensori. Cittadini ed Avvocati ammassati come bestie al di fuori di aule nelle quali si entra ad uno alla volta, evidentemente per il timore, più che del contagio, della possibile attribuzione della relativa responsabilità. Avvocati e Cittadini italiani respinti da Tribunali della Repubblica perché provenienti da zone evidentemente ritenute a rischio in quella di destinazione, sebbene non risulti che la loro libertà di circolazione sul territorio nazionale fosse stata limitata nelle forme di legge. E continua, “La credibilità del mondo della Giustizia è conseguenza della serietà dei suoi comportamenti, e non solo del livello delle sue sentenze, e quelli cui stiamo assistendo non sempre sembrano essere tali. Se la celebrazione delle udienze costituisce un pericolo, per le condizioni in cui si lavora e per l’afflusso di utenza, le si sospenda, perché un contagio contratto fuori dall’aula non è più lieve di quello che si può contrarre dentro. Le responsabilità non vanno scansate, perché dirigere un’istituzione significa sapersi assumere le proprie responsabilità, non, appunto, scansarle.”
E conclude, “A proposito di istituzioni, dov’è il Consiglio dell’Ordine, cui spetta il potere-dovere difensivo e protettivo della categoria forense, verso l’esterno ed internamente? Intervenga, senz’altro indugio, affinché esprima la propria posizione in merito alla situazione igienico-sanitaria delle sedi del tribunale civile e penale, sprovvisti di servizi igienici con il sapone liquido, e rivendichi la dignità del lavoro di tutti, perché di questo passo, l’avvocato andrà anche in costituzione, ma nella prassi resterà inesorabilmente, e colpevolmente, l’ultima ruota del sistema-giustizia”.