Il mutamento e la radice: la poesia di Emanuela Rizzo tra ellebori e nebbie


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Nella danza incessante del tempo, dove il paesaggio interiore si fonde con quello geografico, la poetessa salentina Emanuela Rizzo traccia un ponte lirico tra due mondi. Trasferitasi in Emilia-Romagna, l’autrice vive quotidianamente il contrasto tra la solarità adriatica del suo Salento e l’atmosfera ovattata della Pianura Padana.

Tuttavia, è un’inedita inversione climatica e botanica a scatenare la sua riflessione: l’apparizione dell’elleboro, fiore tipico del Nord, tra le terre del Sud, avvolte da una nebbia che sembra aver viaggiato insieme a lei. Questo scenario diventa il pretesto per una meditazione sulla capacità di adattamento e sulla persistenza del ricordo.

La poesia

Nel continuo e imperturbabile
avvicendarsi
di anni e sospiri,
mentre cambia la muta
che inevitabilmente si adatta,
resta nel soffio del vento
un profumo di mare, colline e boschi.
Qualcosa è cambiato
mentre l’elleboro si schiude al Sud
e la rosa fiorisce negli inverni del Nord.
Una fitta coltre di nebbia
è manto che copre questa unica Terra.
Si smascherano le maschere
nei teatri pirandelliani
e mentre tutto si evolve e si eleva
la memoria
è scritta da secoli
nella pietra.

Un’anomalia botanica come metafora del cambiamento

L’elleboro, il “fiore d’inverno” che solitamente sfida il gelo dei boschi settentrionali, diventa nelle mani della Rizzo il simbolo di un mondo che sta cambiando pelle. La “muta” che la poetessa cita è quella dell’anima che deve adattarsi a nuovi contesti, a nuove temperature emotive, senza però smarrire la propria essenza.

L’autrice osserva come le distinzioni geografiche stiano sfumando sotto una “fitta coltre di nebbia”, un manto che unifica la Terra rendendola un unico, fragile organismo. In questo scenario di mutamento, inserisce un potente richiamo colto: il teatro pirandelliano. Mentre il mondo esterno cambia e le stagioni si invertono, cadono le maschere sociali e personali, obbligandoci a guardare ciò che è nudo e reale.

La memoria scritta nella pietra

Nonostante il vento del cambiamento porti con sé profumi nuovi e confonda i confini tra mare e boschi, la chiusa della poesia offre un’ancora di salvezza: la memoria.

Per una figlia del Salento, la pietra non è un elemento inerte; è la testimonianza millenaria di civiltà passate, è la sostanza stessa delle radici. Sebbene tutto sia in divenire, esiste un codice arcaico, una verità “scritta da secoli” che il mutamento climatico o esistenziale non può scalfire. La poesia di Emanuela Rizzo diventa così un inno alla resilienza, ricordandoci che, pur nel cambiamento, restiamo custodi di una storia immortale.