Sguardi d’autore sulla città in “Vado a Lecce, il nuovo libro di Franco Ungaro

Il volume, edito da Kurumuny, è introdotto da Massimo Bray e descrive il percorso della “Capitale del barocco” dagli anni ’40 fino agli ’80 con i prodromi della movida.

Un giro per la città. “Vado a Lecce” a cura di Franco Ungaro, edizioni Kurumuny, con una nota introduttiva di Massimo Bray, è un giro per le strade del presente o del passato della città. Una cronaca e una memoria.   Nelle pagine di questo libro, scrive Ungaro, si trova “la Lecce affascinante dell’oro e della pietra barocca che aveva sorpreso Cesare Brandi, Guido Piovene, Mario Praz”, e poi Raffaele Nigro, Vittorio Bodini. Si trova “il passaggio dalla città povera e contadina degli anni Quaranta e Cinquanta” a quella “gaudente degli anni Ottanta con i prodromi della movida perenne”.  C’è la Lecce dei migranti, la Lecce dei poeti. Dice bene Ungaro: “Ogni volta suggestioni diverse. Ogni volta un carattere, un profilo, un dettaglio, un’ispirazione diversa”.

Un luogo che sorprende

Ad ogni pagina una scoperta. A volte ad ogni passo. Una città che sorprende sempre anche quando le scene che gira si ripetono, anche se i personaggi sono sempre gli stessi, se le storie del suo passato si confondono con quelle del suo presente.

Scrive Ungaro: “Se esco da casa e giro a sinistra sembra di immergermi nel passato più arcaico della mia città, nei suoi miti fondativi”.

Ma poi, basta poco, basta appena svoltare a destra perché si senta dentro il futuro della città, dentro il suo cambiamento antropologico.

Un viaggio nella città, dunque.

Con Tommaso Fiore che racconta la storiella del cane leccese e del cane barese.

Con Rina Durante che dice dei balconi fioriti di ferri battuti e di gerani, dei vicoletti scalcinati, di antiche piazzette che innalzano palme bizantine, dell’arco di Carlo V innalzato in onore dell’imperatore che però in città non arrivò mai.

Con Antonio Verri che racconta la festa dei tre Santi, Vittorio Bodini che con la memoria percorre Via De Angelis, dove i vecchi muoiono all’alba “ in una verde luce d’acquario”.

Poi Cesare Brandi, Guido Piovene, Anna Maria Ortese: sguardi diversi, scene diverse, emozioni diverse.

Roberto Cotroneo scrive di una città dove persino le voci si attutiscono “e i luoghi sembrano obbedire a un tempo diverso, un tempo che curva su se stesso, e tiene le vite sospese, e smorza gli umori, ma non le passioni.

La città, la sua gente

Lecce e i leccesi. Agli occhi di Lino Patruno, i leccesi sono morbidi, allusivi, capziosi, minuziosi, capaci di adattarsi a tempi e persone.

Poi ci sono i leccesi forestieri, quelli che vengono da lontano: pakistani, indiani, senegalesi. Di questi leccesi forestieri racconta Franco Ungaro.

Ogni passo di questo libro è uno sguardo sulla città. Uno sguardo affascinato.



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