Alta moda – Bassi salari, il settore del lusso non fa eccezione. ‘Il lavoro delle maestranze deve essere pagato adeguatamente’


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Di tutto si parla, ma di sposare mai‘, così erano soliti dire gli antichi commentando il modo di agire di chi la prendeva sempre alla larga, soffermandosi molto sui dettagli e sugli aspetti secondari e tenendosi ben lontano dal nocciolo delle questioni. Nel mondo del lavoro sembra viversi la stessa dinamica: di tutto si parla (innovazione tecnologica, rispetto dell’ambiente, codice etico, ecc.) ma di salari dei lavoratori mai. La valorizzazione economica dei dipendenti è diventata un non-problema ormai, una variabile per certi versi indipendente. E ciò, paradossalmente, avviene anche quando si parla di reshoring, ovvero di quella particolare scelta imprenditoriale che prendono le aziende che decidono di tornare in Italia, di rientrare in Patria dopo averla abbandonata negli anni precedenti al fine di delocalizzare, sfruttando costi più bassi di produzione, meno tasse sul lavoro e manodopera a buon mercato.

Il ritorno alla base è figlio della scelta di puntare tutto sulla qualità (che all’estero evidentemente non si trova) accettando la sfida del lusso che abbisogna di maestranze che solo la nobile tradizione del suolo italico e di certi indotti in particolare è in grado di fornire.

Eppure anche in queste nicchie di privilegio, i lavoratori fanno grandissima fatica a vedere salari all’altezza, anzi li vedono proprio col binocolo.

Insomma reshoring o non-reshoring la situazione non cambia. Anche qui si estende il problema dei salari italiani: troppo bassi per valorizzare professionalità uniche, troppo bassi per rincorrere il costo della vita che galoppa, vista l’inflazione a due cifre.

Il ‘controesodo imprenditoriale’ di chi ritorna a puntare sul lavoro italiano di qualità non si tramuta in un adeguamento salariale consequenziale.

Perché accade tutto ciò? Prova a dare una risposta il sindacato di categoria della Cisl di Lecce, la Femca, attraverso il suo segretario provinciale Sergio Calò: ‘Anche il Salento è interessato da questa ‘imprenditoria di rientro’ vocata al mercato del lusso che dà molte soddisfazioni, specialmente nel settore del tessile-abbigliamento-calzaturiero. Tutto bello, tutto giusto…purchè non si prescinda dal principio cardine: il reshoring è strategico solo e soltanto perché sono i lavoratori, la loro professionalità, la loro artigianalità, la loro storia, la loro cultura del lavoro a renderlo possibile con il vero e unico valore aggiunto. Questo è il tanto decantato “made in Italy” del manifatturiero, non altro’.

Sergio Calò, Segretario Generale Femca Cisl Lecce

Invece, Segretario, i salari restano bassi

‘Giá, di lavoratori e retribuzioni non ne parla nessuno. Le imprese sembra che rientrino perché attratte dal sacro fuoco dell’ambiente sostenibile, perché non ne possono più dello sfruttamento minorile che si registra in alcuni Paesi, perché hanno voglia di adottare i tanto decantati codici etici (alla prova dei fatti poi sconosciuti…), perché hanno scelto di investire su tecniche e tecnologie per l’antinquinamento e cose simili…Disquisizioni interessanti, per carità che poi alla prova dei fatti non trovano un punto di ricaduta’.

Di cosa si dovrebbe parlare, invece?

‘Si dovrebbe parlare, e molto pure, delle retribuzioni, dei lavoratori, dei prezzi riconosciuti (bassissimi e con gli sconti perbgiunta), delle filiere interminabili dove le aziende commerciali intermedie lucrano fino all’80% a danno di produttori e dei lavoratori finali. Invece.di questo non ne parla nessuno, credo volutamente. ll costo del lavoro dopo la pandemia è ridiventato un ‘non-problema’.

Il mondo delle produzioni di lusso come si comporta anche nel Salento?

‘I marchi della moda del lusso (dal più grande al più piccolo) hanno “mollato” sui controlli e sulle verifiche (gli audit sono ridiventati solo “documenti da mettere in ordine”) e sono rifioriti i contratti pirata (che riconoscono fino al 40% in meno di Retribuzione Annua Lorda), i part-time falsi e i vari escamotage a danno del salario e delle condizioni lavorative’.

Eppure le imprese che rientrano dicono apertis verbis che le nostre maestranze danno un valore aggiunto grazie alla loro “flessibilità operativa” e alla loro capacità di “problem solving”. Qualità che all’estero, dove il costo della manodopera è molto più basso, forse non si trovano…

‘Verissimo! Ma mi chiedo: come mai quando gruppi imprenditoriali importanti acquistano grandi e consolidate aziende salentine con una filiera di almeno 20/25 laboratori (600/700 lavoratori), a solo 1 anno dell’acquisto, decidono poi di tagliare della metà i laboratori con una politica dei prezzi (a detta degli imprenditori) alquanto discutibile? E che dire della concezione/interpretazione del reshoring da parte dei grandi marchi della moda (tutti!) che propongono rientro di grosse produzioni di abiti e calzature ma con i prezzi di Cina, Albania, Tunisia, Algeria, Bangladesh….?’

Si ripete la storia famosa di abiti e scarpe che costano migliaia di euro in boutique ma vengono pagati pochissimo a chi li realizza…

‘Esatto. Parliamo di abiti di qualche migliaia di euro in boutique….ma pagati dai 30 ai 50 euro. Parliamo di calzature di quasi 1000 euro (se non di più) in boutique…ma pagati (al vero produttore, dopo una lunga filiera generata e tollerata dagli stessi marchi) dai 22 ai 35 euro’.

Quindi? Il Sistema Moda Italia cosa dovrebbe fare?

I grandi marchi della moda e del “Sistema Moda Italia” devono fare innanzitutto chiarezza. Non possono continuare a sbracciarsi per difendere contemporaneamente lo sfruttatore e lo sfruttato. Serve una scelta di campo, in nome della qualità, dei profitti legittimi e dei lavoratori. Altrimenti stiamo facendo accademia, sulle spalle e a danno del lavoro. Quello vero’.

La risposta del Gruppo Florence

Ma il Gruppo Florence non ci sta all’analisi del sindacato e ci tiene a smentire ogni forma di allarmismo.

Gruppo Florence desidera smentire categoricamente le affermazioni riguardanti una presunta riduzione del 50% della filiera di subfornitori locali nel territorio salentino da parte della Luciano Barbetta, sua azienda controllata. Al contrario, si precisa che l’azienda si è impegnata a difendere la propria filiera storica, che è passata da 32 unità del 2021 alle 28 unità attuali, nonostante un calo del fatturato del 17% ed un calo dei volumi del 22%.

La filiera locale rappresenta un patrimonio costruito con cinquant’anni di dedizione e attività di Luciano Barbetta sul territorio, dove proprio grazie alla tenacia e lungimiranza dell’imprenditore Barbetta, possiamo essere orgogliosi che tutte le condizioni etiche e sociali sono pienamente rispettate. Gruppo Florence è fermamente intenzionato a preservare questa filiera, considerandola un bene di inestimabile valore anche in ottica di una ripresa della crescita già iniziata nel secondo semestre del 2023.

Inoltre, si precisa che non sussiste alcun fondamento nell’affermazione che il Gruppo abbia intrapreso cambiamenti nella politica dei prezzi sia nei confronti della clientela che nei confronti della filiera’.