Accordi contrattuali, Lezzi: «l’Italia dovrebbe rivoltare lo Stato»


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Tra i temi in discussione al Consiglio Europeo del 19 e 20 dicembre ci sarà anche l’avvio dell’istruttoria su quelli che saranno i capisaldi del nuovo meccanismo alla base degli “accordi contrattuali” (contractual arrangements), ovvero le intese bilaterali vincolanti tra l’Unione europea e i singoli Paesi membri.

Sull’argomento è intervenuta, in maniera assai critica, la senatrice salentina del Movimento 5 Stelle, Barbara Lezzi, che spiega: “La musica è sempre la stessa gli incentivi si daranno solo a quei Paesi che saranno in grado di fare le riforme strutturali. Per l’Italia si tratta di rivoltare lo Stato, fare in pochissimo tempo quello che non si è stati in grado di fare negli ultimi 20 anni e, cioè: riformare la pubblica amministrazione, semplificare il quadro normativo, ridurre la durata dei processi civili, gestire con diligenza i fondi europei, cambiare il mercato del lavoro e, ancora, rivedere i processi di formazione professionale e d’istruzione, diminuire il carico fiscale su imprese e lavoratori, perseguire in modo più concreto ed efficiente il contrasto all’evasione fiscale e aprirsi al mercato dei servizi”.

Secondo la senatrice le differenze tra i Paesi europei ricchi e quelli poveri sono destinate ad aumentare e, in generale, la sua poca fiducia verso i futuri equilibri europei viene evidenziata in queste parole: “i Paesi che hanno bisogno d’aiuto, dall’Europa a trazione tedesca, riceveranno un niet e le riforme se le dovranno finanziare con lacrime e sangue a differenza di quelle realtà, sempre più virtuose, che si finanzieranno le riforme con i soldi di chi è condannato a fare la fame”.

La parlamentare salentina poi conclude il suo intervento con un pensiero sul piano delle riforme: “qualcuno dovrebbe ricordare a Letta che l’Italia deve ancora iniziare a percorrere il primo miglio, che il suo Governo è diviso su tutto e che continua, imperterrito, a percorrere la strada dell’aumento della spesa corrente, delle tasse, del debito pubblico e, soprattutto, che la presidenza di turno del Consiglio Europeo non conferisce alcun potere politico ma, altro non è, che una mera segreteria tecnica che annuncia l’ordine del giorno e che si muove sulla base di un’agenda già preconfezionata a Bruxelles”.