Autonomia regionale, secessionismo economico o federalismo fiscale? E la Puglia…


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E se fosse la Puglia ad essere al posto del Veneto o della Lombardia? Sono giorni di fuoco per la scena politica che vede il Governo gialloverde diviso, tra le altre cose, sulla tanto ambita autonomia regionale. Se da un lato si fanno sempre più forti le rivendicazioni della Lega (prima che diventasse il partito nazionalista che fa boom di consensi), dall’altro il Sud allarmista grida al secessionismo, per ora solo economico. Ma in cosa consiste questa “autonomia regionale”? 

Questione di competenze

Nonostante il recente dibattito, per capire meglio ciò di cui stiamo parlando dobbiamo tornare al 2001, anno di un referendum costituzionale che avrebbe gettato le basi per il federalismo che si prospetta davanti a noi. Tra le modifiche apportate alla carta fondamentale del diritto italiano, l’articolo 117 elenca una serie di competenze, 23 per l’esattezza, per cui lo Stato fissa i principi fondamentali, mentre spetta alle Regioni di disciplinare le regole più nel dettaglio. 

Sono moltissime le materie interessate da questa legislazione “concorrente” e spaziano dall’istruzione alla sanità, al lavoro ed alle infrastrutture, dall’ambiente ai beni culturali, per arrivare alla protezione civile. Sono proprio queste materie l’oggetto delle discussioni politiche: sempre stando alla Costituzione, art. 116, comma 3, le Regioni possono chiedere allo Stato di farsi assegnare maggiore autonomia in relazione a queste competenze.

Partiamo dai soldi: la spesa storica

Ma cosa vuol dire tutto questo in parole povere? Partiamo dalla gestione dei soldi. Lombardia e Veneto chiedono allo Stato autonomia sulle competenze concorrenti previste dalla Costituzione. Non sono le uniche Regioni interessate dalla vicenda, ma sono le sole a rivendicare tutte e 23 le competenze. Insieme a loro anche l’Emilia Romagna, che ne rivendica solo 15, il Piemonte, che a breve depositerà le sue richieste al governo, e molte altre che si sono aggiunte nel corso del tempo.

Questo non si traduce automaticamente con “più fondi al Nord”. Infatti, le Regioni più ricche stanno chiedendo allo Stato di tenersi il proprio gettito fiscale e amministrarlo direttamente. Da una parte, i sostenitori dell’autonomia chiedono un dividendo dell’efficienza dalla regionalizzazione. Dall’altra, gli oppositori traducono queste richieste in una negazione di fondi ai territori più poveri.

In prima applicazione, però, non ci sarebbe alcuna maggiorazione di fondi per le Regioni più ricche. Il trasferimento delle competenze alle Regioni, infatti, attribuisce a queste la stessa spesa che lo Stato già oggi effettua. Facciamo un esempio. Se oggi lo Stato spende 100 per la valorizzazione dei beni culturali in una Regione, il passaggio di quella competenza allo Regione semplicemente sposta la gestione della spesa che, quindi, passa alla governance locale, ma non cambia l’ammontare dei fondi.

Qual è il vantaggio, allora? Il dividendo dell’efficienza

L’efficienza. O meglio, la promessa dell’efficienza. La Lombardia e il Veneto (e le altre regioni che si sono accodate) hanno, infatti, avanzato la prospettiva di gestire meglio le spese rispetto a quello che fa lo Stato. Seppure siano due esempi molto “virtuosi”, rimarrebbe comunque difficile ridurre la spesa in alcuni settori, come l’istruzione, in cui i contratti sono regolati dalla contrattazione nazionale. In questo caso, ma anche in altri, la spesa è rigida e non c’è molto da fare.

L’applicazione dei costi standard

Non c’è molto da fare, a meno che non cambiamo qualcosa nel quadro fino ad ora delineato. E qui introduciamo il concetto di “costi standard”. Sarebbero una serie di indicazioni che indicherebbero il “giusto prezzo” dei servizi sulla base di parametri legati alle caratteristiche demografiche, sociali e territoriali di ogni regione italiana. È qui che le cose si complicano un po’ e spaccano la scena politica in due. 

Per fare un esempio, se in un territorio è pianeggiante avrà determinati costi per le infrastrutture come le strade o le autostrade, viceversa in un territorio montuoso le stesse infrastrutture avranno un costo diverso. Allo stesso modo, potrebbero variare gli stipendi.

Perché il Sud grida al secessionismo?

La preoccupazione di molti governatori del Sud, tra i quali anche Michele Emiliano, è che questa ‘secessione dei ricchi‘ porterebbe ad un danno enorme nella qualità di alcuni servizi, come l’istruzione e la sanità. “La Puglia, già di suo è destinataria di quasi 700 milioni di euro in meno rispetto all’Emilia Romagna, a parità di abitanti”, ha dichiarato Gigia Bucci, segretario della Cgil Bari, nella conferenza stampa su “Secessione, regionalizzazione della scuola e smantellamento del sistema sanitario nazionale dello scorso febbraio. “E questo definisce una disparità. Da questo momento in poi significherà che i diritti dipenderanno dal territorio in cui nasci”.

Il rischio è quello di disarticolare il paese, creando standard di servizi diversi. Risponde il governatore del Veneto, Luca Zaia: “Se spendete i soldi peggio, cosa volete? Io nella mia Regione ho eliminato anche i ticket sanitari grazie ad una politica virtuosa. Perché noi dobbiamo pagare le vostre inefficienze? Perché non diventate più efficienti? non è che la vostra sanità sia un modello, visto che mandate i vostri cittadini pugliesi a curarsi nei nostri ospedali”.

E se la Puglia avanzasse le stesse richieste del Veneto e della Lombardia?

Per la verità, è già successo. Le discussioni per l’autonomia regionale vanno avanti da più di un anno e nel 2018 anche la Puglia si era accodata a molte altre regioni, 13 in totale, che si erano dette interessate ad attivare la procedura di richiesta di autonomia , prevista dall’art. 116. Ma poi qualcosa è cambiato e la Puglia di Michele Emiliano ha fatto un passo indietro. “Io avrei dato maggiori poteri a tutte le Regioni” ha detto il governatore della Puglia Michele Emiliano in un’intervista al Corriere della Sera. “Del resto, gli italiani non la pensano diversamente visto che hanno respinto la riforma che accentrava i poteri sul Governo centrale. Se tutte le Regioni avessero avanzato la stessa proposta sulla autonomia differenziata, avremmo potuto ridiscutere quella che è una ingiustizia profondissima: il fatto che il Nord nei finanziamenti ordinari ed esclusi i piani straordinari, vede attribuirsi molte più risorse rispetto al Sud”.

Un’opportunità per la Puglia?

“A fare un pò di verità sul tanto terrorismo seminato in ordine all’iniziativa di alcune Regioni ci ha pensato – ironia della sorte – proprio Repubblica, che oggi ha pubblicato i dati di uno studio dell’Università di Ferrara a firma degli economisti Rizzo e Saccomandi”, dichiara Andrea Caroppo, segretario regionale della Lega in Puglia. “Lo studio rivela che, secondo il testo diffuso dal Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie, anche se si tenesse conto della spesa reale media pro capite per ogni cittadino pugliese, dal riparto delle risorse nazionali alla Puglia toccherebbero 240 milioni di euro in più l’anno”.

Intanto le polemiche all’interno del governo tra lega e movimento 5 stelle stanno bloccando il progetto. E non sembra che il ruolo di mediazione che si è dato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte non stia portando a risultati.