È successo anche altre volte all’interno del Movimento Cinque Stelle. L’Assemblea dei gruppi parlamentari si pronuncia su un argomento, poi la palla passa alla rete perché l’ultima parola è sempre della «gente comune». Un metodo che piaceva proprio così come era stato concepito. Stavolta però qualcosa è andato storto, dall’alto. La decisione di espellere i quattro «dissidenti», “rei” di aver poco gradito la linea dura tenuta dal leader Beppe Grillo durante le consultazioni con Matteo Renzi, non è stata accettata con docilità anche da altri esponenti pentastellati al punto che, voci di corridoio, parlano addirittura di un’implosione. È caos tra lacrime, accuse, botta e risposta, sfoghi. Così ecco che per solidarietà ai «ribelli» Luis Alberto Orellana, Francesco Campanella, Fabrizio Bocchino e Lorenzo Battista, anche altri deputati stanno valutando l’ipotesi di lasciare il partito. Immediata è giunta la presa di posizione del senatore selentino Maurizio Buccarella che in un post su facebook ha affidato le sue riflessioni:
«Sono solito impormi una pausa comunicativa nei momenti di maggiore delicatezza e vulnerabilità per il Movimento, consapevole del danno anche irreparabile che una parola scritta ma poco meditata e potenzialmente fraintendibile può causare.
Questo il motivo per cui da ieri sera, già dal corso della assemblea congiunta, ho evitato di esprimere qui giudizi ed opinioni personali su quello che stava accadendo.
Già due giorni fa, leggendo dell'indizione della congiunta con all'odg la proposta di espulsione dei quattro colleghi, temevo le reazioni e conseguenze di un procedimento che non è regolamentato sufficientemente e che non garantisce la capacità di comprendere le motivazioni delle richieste e soprattutto la possibilità da parte dei candidati espellendi di potersi difendere.
Più di cento persone con tempi di intervento contingentati nell'ordine di due minuti ciascuno e con un solo intervento e senza possibilità di replica a disposizione, semplicemente non possono (o potrebbero non poter) in una sola seduta, raggiungere un convincimento fondato su argomentazioni e dati sufficientemente solidi.
Nel mio intervento ieri sera (che so non essere stato ascoltato per problemi con lo streaming), sollecitavo la necessità (quanto meno per il futuro!) di regolamentare questo procedimento delicatissimo, prendendo spunto semplicemente da quello che l'esperienza umana delle società evolute ha elaborato dopo secoli di sperimentazioni quando si tratta di giudicare il comportamento degli uomini: mutuare i principi del processo penale per mettere in condizione una giuria di poter valutare se irrogare una sanzione (che di questo si tratta) nei confronti di un membro della comunità.
Sapere esattamente di cosa si è accusati e la possibilità di potersi difendere compiutamente, devono essere i principi minimi da rispettare per dare dignità all'iter che può condurre ad una sanzione, così come la possibilità di raccogliere "prove" a carico ed a discarico dell'incolpato così come pure l'ovvio principio che ciascuno deve rispondere delle PROPRIE azioni e che le "messe in stato d'accusa" collettive non giovano alla ragionevolezza ed alla "giustezza" di una decisione (principio della responsabilità personale).
Prima che del merito, quindi, sarebbe opportuno riflettere sul metodo che, almeno nel caso che ci sta vedendo impegnati in queste ore, darà una risposta che, qualunque essa sia, non potrà che essere frutto di un processo approssimativo e che credo dovrà essere migliorato per il futuro.
Per il resto, da parte mia, come altri sto cercando di tenere la baracca e di evitare che cadano travi dal soffitto…»