Nella politica di oggi, la questione anagrafica è diventata centrale. Tranne poche eccezioni, in Occidente i capi di governo sono tutti quarantenni o quasi, anche l’Italia con Matteo Renzi si è adeguata a questa linea di modernità e quindi discutere di maggiore giovinezza all’interno di un partito come Forza Italia, guidato da un quasi ottantenne è non solo utile ma addirittura necessario.
Il piano locale si è fatto prendere la mano dalla discussione, se sia il caso o meno di ringiovanire le file un po’ attempate dei protagonisti, puntando sui giovani, magari sui leccesi, magari sui fedelissimi di Paolo Perrone, giusto per non sbagliare la mira.
Tutto perfetto, se non fosse che i Costa, i Barba, i Palese, quelli che giovanissimi non sono più per data di nascita ma che non si sentono superati dal tempo della politica, non gradiscono l’accusa di essere vecchi affamati di postazioni e cariche dirigenziali.
Il senatore Vincenzo Barba, con il suo tradizionale tono diretto chiarisce i termini e invita i coscritti e non sparare sui graduati, invitandoli a dimostrare il loro valore e la loro lealtà, prima di tutto.
Certo il criterio della democrazia, non proprio incardinato nell’architettura di Forza Italia, vorrebbe che a decidere fossero i voti e non gli annunci, i reclami, o le opposizioni critiche. Ma i voti sono un fatto non a tutti comune. E’ vero che nel partito ci sono leve più giovani che hanno dimostrato di averli i voti, vedi Paolo Perrone o Luigi Mazzei, ma è altrettanto vero che gli altri dovranno mangiarne pane duro, in attesa che ai vecchi leoni vengano i denti spuntati e abbandonino ogni velleità di comando del branco di partito.
Più facile a ipotizzarlo che a vederlo concretizzato questo plastico ideale su sui si staglia un partito composto da molti generali senza esercito.