Lecce cambia. Voleva farlo, ha deciso di farlo e alla fine lo ha fatto. La vittoria di Carlo Salvemini si inserisce di diritto tra gli scossoni politici del capoluogo del Salento che così, dopo vent’anni di egemonia azzurra, decide di consegnare al centrosinistra la guida della città. Carlo, figlio di Stefano, ultimo sindaco ‘rosso’, raccoglie quella eredità pesante lasciata dal padre e si proietta ora a diventare – come lui stesso ha ribadito più volte – il “sindaco di tutti”.
Lo fa forte di un risultato storico maturato al ballottaggio, rocambolesco, capace di ribaltare circa 15 punti percentuali di svantaggio rispetto al candidato del centrodestra Mauro Giliberti che, invece, patisce un vero e proprio crollo di consensi.
I dati del secondo turno, invece, hanno incoronato la voglia di cambiamento che nel tempo si è imposta in città.
Questa mattina, quindi, Lecce si è risvegliata diversa con nell’aria il clima, sebbene torrido, della novità. Una novità di governo cercata con insistenza da Salvemini e che ha colto tutte le palle al balzo pur di riuscire ad arrivare dove molti, tanti, prima di lui avevano fallito. Dalle petizioni online a sostegno della sua candidatura, all’accordo con il terzo polo di Alessandro Delli Noci, il cammino del nuovo Primo Cittadino leccese è stato più lineare di quanto possa apparire.
Carlo Salvemini voleva vincere, voleva dimostrare che un cambiamento di visioni sarebbe stato possibile e per farlo ha capitalizzato al massimo ogni occasione. Costringere il centrodestra al ballottaggio è stata la prima grande impresa, il marchio della vittoria finale, forse annunciata.
Annunciata già da quel 4 febbraio, quando nella sala dell’Open Space di Palazzo Carafa, l’allora consigliere di opposizione che aveva deciso di voler chiudere con la politica cittadina, sciolse le riserve e decise di lanciarsi nella corsa verso la poltrona più alta di Palazzo Carafa. Ad accogliere la sua decisione c’erano centinaia di persone, festanti, con gli occhi lucidi e senza voce. Le stesse identiche scene vissute nello stesso luogo ieri sera, una volta maturata la convinzione della vittoria finale.
Ecco, Carlo Salvemini è riuscito a parlare un linguaggio di novità nonostante i tanti lustri passati tra i banchi della minoranza. Una minoranza che fino a qualche mese fa sembrava logora e asfissiata, ma che Carlo è riuscito a riabilitare portandola alla vittoria nella città-fortino del centrodestra. Anche ingoiando bocconi duri da mandare giù.
Il centrodestra? Chi ha governato per decenni questa città ha perso clamorosamente e l’andazzo, forse, lo si poteva intuire già dal dicembre del 2016 quando, al netto della tempistica rispetto alla sinistra, ci sono volute porte sbattute e malumori prima di pescare dal cappello il nome del candidato sindaco. L’ “establishment” azzurro, infatti, è arrivato al nome di Mauro Giliberti a sorpresa, per placare gli animi di cinque-sei amministratori che battevano pugno per rivendicare centralità assoluta. La carta pescata dalla società civile sembrava poter pagare, ma in realtà il sentimento diffuso viaggiava già verso un cambiamento.
Mauro Giliberti è stato il galantuomo di questa campagna elettorale. Nessuno, del resto, poteva lamentarsi della sua figura: professionista serio e lavoratore instancabile, concreto, deciso, comunicativo. Ma Mauro non è riuscito a far scoccare quella scintilla utile per poter confermare la sua coalizione ancora al timone dell’Amministrazione Comunale. Una scintilla che nelle precedenti tornate elettorali ha permesso al centrodestra di portare a casa vittorie con numeri bulgari. Questa volta, invece, Lecce aveva già deciso di cambiare. Paolo Perrone, sindaco uscente, ha mantenuto fede ai suoi impegni presi nel programma di cinque anni fa, ridando vigore al centro storico e riconsegnando alla città alcuni pezzi storico-architettonici pregiati. Poi nulla più. Con la bocciatura di “Lecce Capitale europea della Cultura 2019” probabilmente è iniziato il declino, culminato nella giornata di ieri.
Giliberti ha fatto del suo meglio: si è speso, ha camminato, ha stretto mani e incrociato sguardi, ma di quella famosa scintilla nemmeno l’ombra. Il divario tra le preferenze ottenute al primo turno dal candidato sindaco rispetto alla sua coalizione (-7%) è stato il campanello d’allarme definitivo. Del resto, proporsi come unica novità della tornata elettorale strideva con la realtà dei fatti: il suo era un nome nuovo, ma contornato da una eredità lunga 20 anni. Ecco, è questo quello che i leccesi hanno percepito in questi mesi. Un candidato valido, ma con una squadra “consumata”. La differenza di carisma tra i due principali competitors, ancora, è rintracciabile anche nella comparazione tra i risultati ottenute dalle liste civiche ‘costruite’ dai due candidati: “Lecce Città Pubblica con Salvemini”, infatti, è risultata la prima lista per numero di preferenze di tutta la coalizione, con quattro consiglieri eletti (con l’8,56%, meglio del Partito Democratico), mentre “Lista Giliberti” si è fermata al 2%).
L’ultima spallata a Giliberti (ma anche e soprattutto Paolo Perrone e Raffaele Fitto) è stata quella della sonora bocciatura al ballottaggio. Il candidato, da vero capitano, ha difeso la sua squadra assumendosi ogni responsabilità della sconfitta. Ma è il centrodestra in toto ad aver perso la gara. Tradimenti, voti disgiunti organizzati sottobanco da quelli che Giliberti ha definito “furbacchioni”, insofferenza in alcune zone cruciali della città. Ma anche inchieste e indagini che hanno nuociuto alla limpidezza delle proposte di più di qualcuno: eccoli gli ingredienti della sconfitta.
Il centrodestra perde una sua roccaforte (per Fitto forse il tonfo più roboante da quando ha deciso di “abbandonare” Berlusconi perdendosi nei meandri dei consensi sempre più risicati). Ora gli azzurri sono chiamati alla resa dei conti interna, senza dimenticare che la città ha deciso di “punire” molti nomi storici e di dare un segnale di novità in molte scelte.
E Delli Noci? Beh, Alessandro è il vero vincitore della partita. Aveva legittime aspirazioni personali dopo essere stato riconosciuto tra i (pochi) assessori più apprezzati dalla città in modo trasversale. Voleva far valere questo aspetto: ha rotto con la sua squadra di governo, ha tirato una linea sulla pagina della sua storia personale e ha perseguito il suo obiettivo fino in fondo. Ha allestito una galassia di liste civiche trasversali e il suo non è stato percepito affatto come un tradimento dai cittadini (che anzi lo hanno premiato con un 17% di consensi personali e non hanno voltato lui le spalle al ballottaggio).
Ha deciso di sposare “l’Agenda del Cambiamento” di Salvemini (il programma del candidato sindaco) e ora, da vicesindaco, si farà garante delle tante anime che popolano la sua coalizione. Forse spetta proprio a Delli Noci il compito più arduo nei prossimi mesi (e anni): smentire chi lo dipinge come arrampicatore di poltrone.
Il neo eletto sindaco, tornando a Carlo Salvemini, uomo tutto d’un pezzo e da sempre coerente con sé stesso, dovrà essere bravo a mantenere le sue doti di amministratore attento e caparbio ora che sarà lui a guidare la macchina amministrativa. Il centrosinistra – al di là della vittoria di ieri – non pullula di salute e il Primo Cittadino dovrà saper imporsi.
Anatra zoppa? Ora il tema nei prossimi giorni sarà questo. La legge e i numeri parlano chiaro: la maggioranza in Consiglio Comunale è di centrodestra e per Salvemini un eventuale premio di maggioranza potrà arrivare solo da una pronuncia di un Tribunale Amministrativo. Ma attenzione perché anatra zoppa non vuol dire ingovernabilità: per governare ci sono tanti modi (in Italia poi siamo abituati veramente a tutto) e, dopo i dati emersi ieri, chiamare a un atto di responsabilità i consiglieri “andati sotto” potrebbe essere più facile del previsto.
Al nuovo sindaco Carlo Salvemini e a tutta Lecce un grande “in bocca al lupo”.