E’ evidente. I cittadini che si trovano ad avere a che fare con le strutture ospedaliere soffrono della progressiva riduzione del personale, con conseguente disagio in termini della qualità di assistenza.
La denuncia che arriva dal Rapporto Pit salute 2014 presentato oggi da Cittadinazattiva – Tribunale dei diritti del malato, scandisce a chiare lettere una situazione quasi insostenibile: mancano infermieri e i servizi si riducono in qualità e in quantità.
Sulla questione si esprime Annalisa Silvestro, presidente Ipasvi e senatore in Commissione Igiene e Sanità "Basta tagli" afferma da tempo, così come sostenuto in occasione del tavolo organizzato per il Patto della Salute, alla presenza del ministro Lorenzin . “Infermieri “gestori” degli ospedali di comunità, anello di congiunzione tra ospedale e territorio e garanzia della continuità assistenziale per i pazienti e dell’assistenza nelle zone disagiate perché non esistano più situazioni limite per la salute” così si sono espresse le Senatrici Silvestro e Dirindin a fine estate.
Oggi gli infermieri chiedono un'alleanza coi cittadini.
La carenza di servizi, avvertono da IPASVI, non si sente solo a livello ospedaliero. Anche l’ assistenza residenziale fa acqua secondo i cittadini che segnalano nel Rapporto 2014 problemi proprio sulla base del contatto, delle indicazioni e dei servizi erogati attraverso infermieri e medici.
Scarsa, quindi, l’ assistenza medico/infermieristica, con i cittadini che denunciano la progressiva riduzione del personale presente in struttura, e i disagi che ne conseguono proprio in termini della qualità di assistenza erogata.
Va da sé che aumenta la pressione su infermieri e medici in forze presso le strutture sanitarie per l’elevato carico di lavoro, con conseguenze che vanno dalla scarsa attenzione derivante dallo stress eccessivo, a liste di attesa sempre più lunghe.
La denuncia dei cittadini nel Rapporto Pit salute 2014 si abbatte anche sulle poche ore di assistenza domiciliare erogate, sempre per colpa della scarsezza di personale: il valore relativo è pari a 9,3% nel 2013,ma era 5,7% nel 2012.
Per non parlare, poi, dei servizi di salute mentale. Stessa musica a livello di interventi di cura: i ranghi ridotti e l’impossibilità di controlli adeguati aumentano perfino le infezioni ospedaliere (quelle delle ferite passano dal 42,9% del 2012 al 50% del 2013).
Si arriva, purtroppo, anche al “rifiuto del ricovero” perchè se la riduzione dei posti letto è la prima causa del diniego, a seguire c’è la chiusura dei reparti, e la riduzione del personale “medico-infermieristico”.
“E’ una conferma di una situazione drammatica che denunciamo da tempo – commenta Annalisa Silvestro, presidente della Federazione dei Collegi Ipasvi e senatore in commissione Igiene e Sanità a Palazzo Madama –. Una situazione non recepita dal Governo, che ipotizza ulteriori tagli lineari o “semilineari”, senza un vero controllo su come si spende e si amministrano i servizi. E soprattutto dalle Regioni che fanno del personale un vero e proprio bancomat: si aggrediscano le duplicazioni esistenti di centri decisionali, di funzioni e strutture che non danno risposte ai veri bisogni dei cittadini e che assorbono risorse impropriamente e penalizzano l'equità di accesso alle cure. Queste, oltre agli altri sprechi, sono le cose su cui le Regioni devono coraggiosamente intervenire per ottenere veri e duraturi risparmi”, afferma Silvestro.
E la Federazione fa il punto sulla reale situazione occupazionale degli infermieri, legata a doppio nodo ai tagli.
Secondo l’analisi della Conferenza dei corsi di laurea delle professioni sanitarie forniti dalla Federazione e basati sull’analisi del 100% della risposta occupazionale, è vero che c’è stato un calo occupazionale a un anno dalla laurea passando dal 94% del 2007 al 63% del 2012, con -31 punti percentuali, ma è anche vero che, anche se in calo, a esempio nelle Regioni del Nord il tasso occupazionale sembra “tenere” ancora, sia pure nel generale contesto di peggioramento nazionale. E si stabilizza sulla media dell’80% di occupazione a un anno dalla laurea con il Piemonte che passa dal 98% del 2007 al 76% del 2012, la Lombardia da 97% a 88%, il Veneto da 98% a 85%, il Friuli Venezia Giulia da 97 a 83%, la Liguria da 97% a 81%.
La situazione (e quindi l’allarme) è grave invece al Sud e soprattutto nelle Regioni che hanno subito, appunto, i maxi-tagli dei piani di rientro, tra cui la Puglia in cui si va dal 93% del 2007 al 52%.