Si preannuncia un altro, lungo, dibattito ambientale. Emerge prepotentemente, infatti, l’ipotesi che vede protagonista la società statunitense Global Med Llc e le sue intenzioni di individuare petrolio nei fondali marini di santa Maria di Leuca. L’area interessata comprende, comunque, tutto lo Ionio settentrionale. Sussiste alla base una statistica: secondo la BP Statistical Review, le riserve di combustibili fossili sfruttabili nel nostro paese si attestano attorno ai 290 Mtep: poiché il consumo di energia primaria annuale dell'Italia è stimato in circa 159 Mtep, tali supposte riserve corrispondono al consumo di meno di due anni.
“Quindi, si sceglie di mettere a repentaglio un intero ecosistema, aree di pregio naturalistico e paesaggistico e le annesse attività economiche legate alla pesca e al turismo, per una riserva di due anni?” – a domandarselo è Dario Stefàno, che per primo sollevato la questione, presentando peraltro un’interrogazione ai Ministri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico proprio a seguito delle richieste di permesso di ricerca idrocarburi offshore ad opera degli americani.
Così facendo, le richieste di ricerca – rivela sempre Stefàno – diverrebbero sedici, sommandosi alle quattro concessioni già attribuite lungo la costa calabrese. “Le ricerche che intende svolgere la Global Med saranno effettuate – scrive – mediante la tecnica dell’“air gun”, un meccanismo che produce onde sismiche e che la comunità scientifica ritiene dannoso per la fauna marina. Il Ministro dell’Ambiente condivide questa preoccupazione”.
La Puglia ha fortemente investito nella pesca e nel turismo entrambi fondamentali per l'intera economia regionale. “Per noi la tutela della qualità del mare, della costa e dell'ambiente – conclude – sono incompatibili con la prospettiva di qualunque tipo di attività estrattiva, che potrebbe avere conseguenze catastrofiche a livello ambientale, economico e sociale. In Puglia abbiamo ribadito il ‘no’ alle trivelle nell’Adriatico, ora da Roma giunga un no forte, anche all’air gun”.