Il calcio e le sue pazze regole. Ammoniscono chi esulta, restano indifferenti con chi insulta


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I cori dalle tribune, che siano razzisti o no, ma comunque offensivi, non possono essere tollerati come se nulla fosse, perché anche la pazienza e la buona educazione rischiano di avere un limite.

Il gol, obiettivo supremo di ogni meccanismo calcistico, è un momento di rottura che apre nuovi scenari nel copione di una partita. Il protagonista, cioè l’autore del gol, non sblocca solo il punteggio, ma si rende autore e regista della sua storia personale. Non si tratta solo di vincere, si tratta di impreziosire una gara e firmare un’impresa. E come ricordava un vecchio maestro di questo sport non esiste una gioia così improvvisa e potente come quella del gol, certamente per il tifoso ma soprattutto per l’autore stesso della rete.

Ecco perché è un controsenso, anzi un gesto contronatura, essere costretti per un motivo o per l’altro a rinunciare all’esultanza o comunque a contenerla.

Poi c’è il caso di chi segna dopo aver subito critiche sulla stampa o dai tifosi della sua stessa squadra o chi fa gol dopo essere stato a lungo offeso e dileggiato dall’opposta tifoseria durante una partita. Avviene quindi che il gol diventa una sorta si contrapasso, una rivisitata legge del taglione, che applicava saggiamente la giusta sanzione ad un reato. La punizione proporzionata.

Ecco perché, chi esulta in maniera determinata e appassionata dopo essere stato fatto oggetto di offese e ingiurie applica un doveroso risarcimento in tempo reale. La regola dell’ammonizione non ci sta proprio, e come sostiene l’ex attaccante di Inter, Juventus e Milan, nonché della Nazionale, Aldo Serena, è una regola da cambiare.