«Chi non ce la fa non è un perdente. Non è una sconfitta, è una maledetta malattia. Non esiste una ricetta, io almeno non ce l’ho». Fanno ancora più male, ora che Sinisa Mihajlovic non c’è più, quelle parole pronunciate quando la leucemia aveva deciso di bussare alla sua porta. È un ospite sgradito che non inviti, che non ti aspetti, che si presenta in un giorno qualunque che ti cambierà per sempre. Un ospite che alla fine accogli, in attesa che vada via, che sloggi e ti restituisca la tua vita. A volte, invece, te la porta via.
«La verità è che non sono un eroe e neppure superman. Sono uno che quando parlava così si faceva coraggio. Perché aveva paura e piangeva e si chiedeva perché. E implorava aiuto a Dio, come tutti» raccontava l’ex allenatore del Bologna in un’intervista al Corriere della Sera. Guerriero Sinisa lo è stato, non tanto per aver combattuto contro la Leucemia mieloide acuta una battaglia che sembrava aver vinto, quanto per aver guidato l’esercito dei malati silenziosi, quelli che restano invisibili, come ha fatto dentro o a bordo campo, invitandoli a giocare la partita. In attacco, come piaceva a lui.
Indimenticabile quel 25 agosto 2019 quando si è presentato in panchina “più morto che vivo” per la prima di campionato a Verona dopo aver implorato i medici di lasciarlo andare. Tutto per dare un messaggio, per dire che alle persone nella sua stessa situazione che non ci si deve vergognare, che non bisogna abbattersi, che non bisogna arrendersi. Con il Bologna e i suoi tifosi aveva anche scritto una favola che, per qualcuno non si è conclusa con un lieto fine. I giocatori sotto le finestre del Sant’Orsola, la squadra guidata “da lontano”, le partite seguite dal letto dell’Ospedale che lo aveva aiutato ad essere un allenatore in corsia, i cori di incoraggiamento, gli striscioni, la salvezza conquistata con le unghie e coi denti.
Poi l’esonero inaspettato e le polemiche. Un tradimento, come aveva detto qualcuno, di una società che gli era stata vicina in maniera esemplare. Una decisione, impopolare, che Mihajlovic aveva accettato forse non come uomo, ma come professionista. «Ci rivedremo, spero presto, sul campo. Qualunque maglia vestirò non sarò mai un avversario, ma sempre uno di voi» aveva scritto in una lettera ai tifosi pubblicata sulla Gazzetta dello Sport. Si concludeva con queste parole una delle più belle e commoventi pagine di sport che siano state scritte.
De Andrè cantava che il dolore degli altri è sempre un dolore a metà. Questa volta non è così. Nonostante negli ultimi tempi il risultato sembrava sempre più scontato, alla notizia della scomparsa del calciatore serbo una lacrima è scesa a tutti. La partita finisce quando l’arbito fischia. Il guerriero dal cuore d’oro che ha combattuto fino all’ultimo dei minuti di recupero, non ce l’ha fatta, ma la sua lotta è stata ammirevole.
E allora con gli occhi lucidi grazie Sinisa!