Le spiagge sono belle come sempre. Il mare ancora uno spettacolo da togliere il fiato. I tramonti lasciano sempre il segno come dipinti. E poi…i sapori che raccontano storie antiche, il cibo, la luce, le tradizioni… è tutto lì, intatto, al suo posto. Eppure questa estate qualcosa è cambiato. Nel Salento, almeno così dicono tutti, c’è meno gente. Le vie del centro, quelle che ad agosto dovrebbero ribollire di voci e di passi, sembrano solo tiepide. I ristoratori sbuffano, i lidi contano le sdraio vuote. È un’estate diversa. Più silenziosa. Più corta. Più vuota.
Sì, ci sono meno turisti. E No, non è solo colpa del turista o del turismo che è “cambiato”. È cambiato il Salento, e questo non può essere negato. Per anni abbiamo pensato che bastasse il mare. Che bastasse la fama. Che bastasse l’influencer di turno a ballare la pizzica su Instagram per garantirci la fila alla porta. Abbiamo campato di bellezza naturale e folklore, affittato ogni stanza disponibile, venduto ogni angolo. Abbiamo creduto che l’onda non finisse mai, che bastasse essere “belli” per essere scelti. Sempre.
E invece no. La verità è semplice: non siamo più competitivi. Prezzi troppo alti per i servizi offerti. Accoglienza, a volte, lasciata al caso. Un traffico da metropoli senza metropolitana. Un turista deve volerci venire, in Salento. Non capita più qui per caso. E spesso, dopo esserci venuto, non ci torna. La verità è che il Salento è ancora amato. Ma non è più irresistibile.
Per anni abbiamo vissuto di rendita. “Il mare più bello”, “la Grecia d’Italia”, “la Puglia che balla”: slogan, festival, tramonti e pizzica ci hanno messo sulla mappa. Ma dopo anni di boom, è arrivato il conto. Mentre altre destinazioni (Calabria ionica, Albania, alla Basilicata) migliorano servizi, strutture e accoglienza, il Salento ha pensato di bastare a sé stesso.
Il turismo non è eterno… e il turista non è scemo
Si è soliti rinvianre ogni riflessione seria a quel comodo contenitore chiamato “settembre”, come se i numeri potessero smentire il vuoto delle strade, i tavoli liberi, ma questa non è una crisi passeggera. È un segnale. Un campanello che suona da tempo, e che ancora ignoriamo. Servono idee, visione, qualità. Serve una politica turistica vera, non la solita sfilata di eventi a pioggia, senza regia, senza progettualità.
Serve il coraggio di dire che l’accoglienza è un mestiere. Che il turismo non si improvvisa. Che se vuoi vivere di turismo, devi lavorare tutto l’anno, non solo da luglio a Ferragosto.
Non basta piangere a settembre, se a ottobre già dimentichiamo tutto
Ogni anno la stessa litania: “Aspettiamo settembre per i bilanci”. Intanto agosto ci passa davanti come un treno e il Salento, che fino a poco tempo fa sembrava la locomotiva del turismo meridionale, oggi sembra arrancare. Facciamo pure i bilanci. Ma facciamoli con onestà. Con i dati veri. Con le voci di chi ha perso, non solo di chi ha incassato. E poi, subito, agiamo.
Perché un territorio che aspetta settembre per capire se ha sbagliato, è già in ritardo.
E un territorio che a ottobre ha già dimenticato tutto, è destinato a svuotarsi.
Come certe piazze, certi lidi, certe notti d’agosto in cui, quest’anno, mancava qualcosa.
Mancava la gente.
E forse, se non facciamo qualcosa adesso, il prossimo anno mancherà anche il resto.