Xenofobi e migranti: uomini e no? L’editoriale di Enrico Mauro


Condividi su

Non passa giorno senza che il tema dei migranti economici conosca in Europa novità di rilievo: in tre giorni tre barconi affondano nel Canale di Sicilia; l’Austria invia poliziotti alla frontiera che la separa dall’Italia, frontiera dove peraltro non c’è traccia di ondate migratorie; il nostro Ministro degli interni, rispolverando una proposta del segretario della Lega Nord — quello che per qualunque problema tira fuori le ruspe —, propone di registrare i migranti in mare, in modo che sia fatta su apposite navi la distinzione tra chi può sbarcare in Europa e chi, come una pedina nel gioco dell’oca, deve ripassare dal via; l’Unione europea discute la proposta del Governo italiano di accordi, per i quali servirebbero 60 miliardi di euro, tra Unione e Paesi africani di partenza e di transito dei migranti, sul modello dell’accordo già stipulato dall’Unione con la Turchia, costato 6 miliardi di euro.
  
È rintracciabile un filo che unisca questi e molti altri fatti relativi alla materia in questione? Forse il filo è dato dalla considerazione che gli attori istituzionali e politici, ma anche i cittadini, i gruppi, i popoli non si preoccupano davvero della sorte dei migranti, ma solo di se stessi, della propria sicurezza, tranquillità, prosperità.
  
Insomma, tutte le politiche dell’Unione e degli Stati-membri e molti atteggiamenti dei cittadini sono dettati da un solo imperativo: bisogna difendere la società assediata da migranti visti come nemici, non come persone in cerca di protezione, serenità, pane.
  
In Italia non mancano forze politiche più o meno apertamente xenofobe. Che trovano sostegno, tra l’altro, in giornalisti dei vari media più o meno velatamente compiacenti. Così a chi scrive sul tema dei migranti accade facilmente di imbattersi in commentatori che, spinti da una paura alimentata da politici in cerca di facile consenso, credono di essere nel giusto quando affermano: «La maggioranza di questi immigrati che vengono in Italia non vengono per lavorare, ma per rubare, violentare e fare i parassiti».
  
Di fronte a questo commento — da prendere in considerazione in quanto rappresentativo di una mentalità xenofoba diffusa —, chi scrive sente prima di tutto il bisogno di dire che la libertà di parola del commentatore è inviolabile quanto quella di chiunque.
  
Qui, però, si semplifica un po’ troppo. Saper semplificare è una virtù, ma oltre una certa soglia la virtù diventa vuotezza, pericolosa perché si sa che le stupidaggini si diffondono assai più velocemente delle idee. Che cosa vorrebbe farci credere chi ragiona in quel modo? Che gli italiani siano tutti o quasi brava gente, a differenza dei migranti, che non lascerebbero le loro terre e non rischierebbero le vite dei loro bambini per necessità, bensì per farsi imprigionare per furto o stupro o, nella migliore delle ipotesi, per vivere alle spalle di qualcun altro?
  
Sicuramente il tasso di criminalità è più elevato tra i disperati, ma perché sono disperati, non certo perché hanno i geni della criminalità, non certo perché non sono europei o bianchi. Quindi a chi ragiona in quei termini è il caso, da un lato, di rivolgere, magari con Shakespeare, qualche domanda e, dall’altro, di ricordare che gli italiani sono e sono stati brava gente, ma, insomma, con un certo numero di eccezioni.
  
Lo scorso 6 maggio, nel discorso tenuto in Vaticano dinanzi alle istituzioni europee, il Papa ha esortato a «politiche […] incentrate sui volti più che sui numeri». Allusione forse a Emmanuel Lévinas, il filosofo del volto, il quale sosteneva che puoi voltare le spalle all’Altro, non aiutarlo, non salvarlo, solo finché non lo guardi negli occhi.
  
A proposito di occhi, tornando a Shakespeare, con minimi adattamenti: «Non ha occhi, un migrante? Non ha mani, non ha organi, corpo, sensi, desideri, passioni, un migrante? Non si nutre dello stesso cibo, non è ferito dalle stesse armi, non è soggetto alle stesse malattie, guarito dalle stesse medicine, gelato e scaldato dagli stessi inverni ed estati di un italiano? Se lo pungete, non sanguina? Se gli fate il solletico, non ride? Se lo avvelenate, non muore?». Chi identifica i migranti con ladri, stupratori e parassiti risponda a queste domande, prima di sentenziare della propria superiorità genetica e morale.
  
E ora, per concludere, ‘giochiamo’ a ricordare, in pillole e scegliendo tra infiniti esempi, chi sono e sono stati gli italiani. Del segretario della Lega, che vorrebbe passare con le ruspe su tutti coloro che non gli sono simpatici, si è detto. Del massacro di Yara Gambirasio è sospettato un italiano. Degli abusi sessuali di bimbi a Caivano sono sospettati due italiani: i bimbi non erano solo abusati, ma lanciati dal balcone se si ribellavano. Gli italiani hanno ideato la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta e la sacra corona unita e le hanno pure esportate, in Europa e non solo. Gli italiani hanno inventato il fascismo. Il fascismo non è stato necessario esportarlo: sono stati altri Paesi a preoccuparsi di importarlo e magari perfezionarlo (Germania, Spagna, Portogallo, Grecia, Cile, Argentina…). Gli italiani, tornando un po’ più indietro, hanno inventato la controriforma, con il suo controllo delle coscienze tramite la confessione, la sua sistematica repressione della libertà di ricerca filosofica e scientifica (Tommaso Campanella, Giordano Bruno, Galileo Galilei…), i suoi processi, le sue torture, i suoi roghi, il suo indice dei libri proibiti (talmente tanti che sarebbe stato più semplice tenere un indice dei libri permessi). C’è bisogno di proseguire?
  
Insomma, molta brava gente tra gli italiani, ma anche, qui e lì, nel tempo e nello spazio, qualche tipo poco raccomandabile, come in ogni luogo del pianeta, visto che non è questione di genetica. Gli italiani, però, da secoli brillano per la capacità di autoassolversi, quelle poche volte, si intende, che sentano il bisogno di interrogare un minimo la propria coscienza collettiva o individuale.
 
di Enrico Mauro