Presunte infiltrazioni mafiose in Comune. Assolto anche in appello l’ex sindaco di Scorrano, Guido Stefanelli


Condividi su

Arriva l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”, dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa, anche in Appello, per l’ex sindaco di Scorrano, Guido Nicola Stefanelli, coinvolto nell’inchiesta “Tornado”, sui presunti rapporti tra esponenti mafiosi e l’amministrazione comunale.

I giudici della Corte hanno confermato il verdetto di primo grado, a conclusione del processo di ieri. È stata, dunque, accolta, ancora una volta, la richiesta di assoluzione avanzata dagli avvocati Luigi Corvaglia e Francesco Vergine, legali di Stefanelli. Le motivazioni della sentenza si conosceranno entro 90 giorni.

Nel novembre del 2021, al termine del processo con il rito abbreviato, il gup Laura Liguori aveva assolto Stefanelli.

La pubblica accusa aveva chiesto la condanna ad 8 anni per l’imputato. L’accusa nei suoi confronti sarebbe consistita nel “promettere agli appartenenti al sodalizio criminoso smantellato con l’operazione Tornado l’aggiudicazione di appalti e servizi pubblici, e nello specifico la gestione del parco comunale “La Favorita” con annesso chiosco-bar nonché la gestione dei parcheggi comunali”.

La contropartita per Stefanelli? “Il sostegno del clan nelle competizioni elettorali alle quali era interessato”. Il candidato si sarebbe così avvalso della collaborazione di un dipendente della ditta Nuova Era amministrata dal primo.

Le elezioni “incriminate” sarebbero le comunali del maggio 2017, all’esito delle quali Stefanelli venne eletto sindaco. L’ex primo cittadino, durante le indagini, venne anche ascoltato in Procura. Sostenne, dinanzi al pm, di non aver mai fatto alcun favore al clan Amato e di non aver mai chiesto il voto.

Nel 2020, arrivò comunque lo scioglimento del Consiglio comunale di Scorrano per infiltrazioni mafiose e si insediarono i commissari. Solo nel 2022 si è votato nuovamente a Scorrano.

Le indagini  “Tornado”, condotte dai carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Maglie, nell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Guglielmo Cataldi e dal sostituto procuratore Maria Vallefuoco, hanno portato alla luce un clan emergente, con disponibilità di armi, che agiva con particolare violenza, che aveva il proprio “core business” nello spaccio di droga e da cui, secondo l’accusa, ricavava circa 500mila euro l’anno. Alla guida del sodalizio Giuseppe Amato, detto “padreterno”. Al suo fianco il figlio Francesco. La banda agiva, sempre secondo la tesi accusatoria, attraverso atti intimidatori e spedizioni punitive. Come nel caso dell’omicidio del giovane Mattia Capocelli, avvenuta il 25 aprile del 2019.

Molti imputati sono stati già condannati in via definitiva.