Una serie di presunte condotte "illegali" per nascondere il fallimento dell'azienda. Il collegio della prima sezione, presidente Gabriele Perna a latere Silvia Minerva e Coppola ha condannato il 57enne A. C. a 4 anni e 3 mesi di reclusione per il reato bancarotta fraudolenta e documentale. Il pubblico ministero d'udienza Paola Guglielmi (titolare dell'inchiesta il dr. Giovanni Gagliotta) aveva invocato 3 anni di reclusione.
Secondo l'accusa, l'imputato come amministratore unico della "srl Pinto", dichiarata fallita il 15 ottobre del 2012, avrebbe simulato un furto di attrezzature e macchinari del "patrimonio sociale", per poi presentare falsa denuncia presso i carabinieri di Matino. Inoltre, il 57enne, noto imprenditore nel settore delle confezioni per intimo, avrebbe sottratto rimanenze di materie prime per un valore superiore a 75.271 euro. Stesso discorso, per la somma di 126.614 euro come crediti vantati della società, di cui non venivano specificati i nominativi dei debitori e 13.748 euro relativa alla cassa dell'impresa.
A .C. poi avrebbe distrutto le scritture contabili per evitare che si risalisse al volume d'affari della sua impresa. Secondo il pm, l'imputato rispondeva dell'aggravante di aver commesso più reati, con ingente danno per la società fallita.
Secondo i legali di A.C., gli avvocati Alessandro Greco e Laura Pisanello, che ne avevano invocato l'assoluzione, l'uomo non avrebbe mai messo in atto le condotte contestate con la volontà di "frodare". I difensori hanno sostenuto come la "Pinto srl" fosse una piattaforma di un'altra società, la "Incat Srl".
Quest'ultima prendeva le commesse, mentre la "Pinto" per conto terzi, la subappaltava in Albania. Per dimostrare l'innocenza del proprio assistito, gli avvocati hanno poi prodotto la sentenza di assoluzione per A.C. della seconda collegiale, emessa nel luglio scorso per la Incat, come detto, facente capo all'imprenditore e strettamente collegata alla "Pinto srl".
Adesso, proprio in virtù di quella sentenza, i legali presenteranno ricorso in Appello.