Al via l’udienza preliminare “Doppio Gioco” relativa ad una maxi inchiesta della Guardia di Finanza sul gioco d’azzardo. Il gup Cinzia Vergine ha rinviato a giudizio Maria Teresa Rizzo, 55enne di Nardò. Per ciò che riguarda i due fratelli Giovanni Francesco Rizzo, 58enne avvocato, e Pantaleo Salvatore Rizzo e 53 anni, di Nardo e Luca Margherito, 44 anni, di Squinzano, il fascicolo è tornato nelle mani del pm per un difetto di notifica. Sono assistiti dagli avvocati Biagio Palamà, Antonio La Scala e Mario Pede.
Intanto, Cosimo Negro, 68 anni, di Galatone; Marco Negro, 45 anni di Galatone; Giovanni Saquella, 55 anni, di Squinzano e Roberta Zuccalà, 44 anni, di Galatone hanno chiesto di patteggiare una pena inferiore ai 2 anni ed il giudice deciderà in data 9 novembre.
Infine, Andrea Caputo, 41 anni, di Sannicola e Valentina Polo, 36 anni, di Nardò hanno chiesto il giudizio abbreviato che sarà discusso il 6 ottobre. Il collegio difensivo è composto dagli avvocati: Rocco Vincenti, Mario Pede, Giuseppe Gatti, Luigi Pastore e Tommaso Valente.
L’inchiesta
L’inchiesta denominata “Doppio Gioco”, coordinata dal pm Carmen Ruggiero della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce ha permesso di smantellare un’organizzazione operante nel mercato del gaming e del gioco d’azzardo legale ed illegale nelle province di Lecce e Taranto, gestendo un vorticoso giro d’affari nel settore delle slot machines, dei videopoker e nella raccolta di scommesse per eventi sportivi, fatte confluire sulle piattaforme informatiche di bookmaker stranieri.
I militari della Guardia di Finanza hanno eseguito un’ordinanza di misura cautelare a firma del Giovanni Gallo, nei confronti dei tre fratelli Rizzo, ritenuti a capo dell’organizzazione criminale.
Nello specifico, secondo l’accusa, l’avvocato Giovanni Francesco Rizzo, provvedeva alle operazioni di prelievo del denaro dai dispositivi illegali. Non solo, poiché gestiva i rapporti con i clienti, contrattando le condizioni del noleggio e garantiva loro consulenza ed assistenza legale, nei procedimenti penali che sorgevano a loro carico, a seguito dei sequestri, dando loro indicazioni per eludere i controlli e dissimulare l’illiceità dei dispositivi.
E poi, ritiene l’accusa, l’avvocato gestiva il rapporto con un prestanome, provvedendo a corrispondergli (assieme ai fratelli) periodicamente somme di denaro in cambio della fittizia intestazione di un’impresa con la quale i fratelli Rizzo distribuivano dispostivi di gioco illegale.
Invece, il fratello Pantaleo Rizzo, gestiva i rapporti con i clienti con particolare riguardo al noleggio dei Totem e dei videopoker.
Infine, la sorella Maria Teresa Rizzo, si occupava del settore amministrativo e contabile di due società, gestendo in particolare i rapporti con le banche ed i prestanome.