Erano accusate di aver costretto un bambino a un prelievo di sangue, assolte due psicologhe


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Avrebbero, secondo l'accusa, costretto un bambino di 8 anni a subire un prelievo di sangue, ma il giudice ha ritenuto non colpevoli due psicologhe dell'entroterra ionico salentino.
 
Il giudice Marcello Rizzo della seconda sezione monocratica, ha emesso una sentenza di assoluzione piena, "perché il fatto non sussiste"  per la 35enne A.M.C. e per la 32enne C.N. Accolta dunque pienamente la tesi difensiva dell'avvocato Giuseppe Romano, legale di entrambe le imputate. Invece, il vpo d'udienza ha invocato una pena di 1 anno e 4 mesi per entrambe, con l'accusa di violenza privata e lesioni personali.  I genitori si sono costituiti parte civile al processo, con l'avvocato Franco Carriero.
 
L'inchiesta prese il via a seguito della denuncia presentata dai genitori di un bambino di appena otto anni, all'inizio del 2012. Questi riferirono agli inquirenti, che il figlio aveva partecipato ad un progetto scolastico promosso da una Onlus, teso all’accertamento di forme di disturbo nell’apprendimento. Un giorno, di ritorno dal bagno, il bambino sarebbe stato indotto ad entrare all’interno di un’aula scolastica, chiamato “per nome”, da due psicologhe. Dunque senza opporre alcuna resistenza, si sarebbe volontariamente disteso su due banchi accostati, mentre le due dottoresse chiudevano la porta e le tapparelle della finestra. Di poi, le due professioniste avrebbero estratto dalla propria borsa, una lampada a forma di pallone con braccio ritraibile, oltre che il necessario per un prelievo del sangue. A quel punto, mentre una delle due psicologhe provvedeva a leggere le istruzioni per il prelievo, l’altra provvedeva ad eseguirlo, utilizzando un ago a farfalla.
 
Il bambino, non avrebbe levato neanche un grido, sempre tranquillo e collaborativo. Terminata l’operazione, il piccolo scolaro veniva medicato con un batuffolo di ovatta, imbevuto di disinfettante e fatto rientrare in classe,  con linvito a non dir nulla a nessuno.
 
Il difensore delle due imputate, nell'ambito della discussione in aula, ha anzitutto riferito come, la consulenza tecnica di parte avesse evidenziato che è “clinicamente provato che il minore abbia una propensione alla confabulazione”, ne consegue che le dichiarazioni rese dal bambino, tanto in sede di audizione protetta, quanto in sede di incidente probatorio, non possano ragionevolmente ritenersi attendibili, per gli evidenziati limiti “scientifici” di idoneità a testimoniare.

Inoltre, il medico che lo visitò in ospedale, escluse che il forellino presente sul braccio del bambino fosse compatibile solo ed esclusivamente con la puntura di un ago percutaneo. Infine, l'avvocato Romano ha evidenziato che il bambino aveva un "movente" a mentire. Il ragazzo viveva una situazione di forte disagio rispetto all’ambiente scolastico, tanto con riferimento ai suoi compagni, quanto alle insegnanti e aveva più volte manifestato la volontà di essere trasferito in un'altra scuola.