Il furto della Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi: la “storia semplice” del Caravaggio scomparso


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La scomparsa della Gioconda, rubata da un imbianchino italiano che voleva restituire il capolavoro di Leonardo Da Vinci all’Italia (leggi qui), non è l’unico furto rimasto nella storia. C’è un altro quadro, trafugato in una notte piovosa di ottobre da una Chiesa di Palermo, che fa parlare da più di cinquant’anni con il suo carico di misteri, teorie più o meno credibili, confessioni e racconti in cui non è più possibile distinguere la realtà dalla fantasia. Si tratta della Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, un olio su tela di Caravaggio, un’opera preziosa (il valore di mercato si aggira intorno ai 20 milioni di dollari secondo l’FBI) mai più ritrovata.

Mezzo secolo non è bastato per risolvere il mistero di uno dei quadri più belli di Michelangelo Merisi che ha ispirato Leonardo Sciascia, fornendogli lo spunto per il suo ultimo romanzo, una storia semplice.

Il furto della Natività di Caravaggio

18 ottobre 1969. Quella notte di tempesta una piccola stradina nel centro storico di Palermo diventò il teatro di uno dei furti di opere d’arte più famosi della storia. Incastonata sull’altare maggiore dell’Oratorio di San Lorenzo, da oltre trecento anni, c’era la «Natività coi Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi», una tela del pittore italiano conservata in quel luogo di culto in stile barocco, tra piccole piazze, botteghe, casupole e palazzi storici in disfacimento, dove fu semplice per i ladri entrare. Si racconta che abbiano cominciato a pianificare il colpo dopo una puntata di “Capolavori nascosti”, il famoso programma Rai che ogni settimana svelava una delle tante meraviglie del patrimonio artistico italiano celate nelle città.

Con una facilità che oggi sembra impensabile, gli sconosciuti, incappucciati – secondo il racconto di alcuni testimoni – si intrufolarono nella Chiesa nel cuore di Palermo, staccarono la tela dall’altare tagliandola con millimetrica precisione e la portarono via, arrotolata come un tappeto, su un camioncino. Nessuno si accorse di nulla. Quando il custode scoprì il furto era quasi sera: il quadro era sparito nel nulla. Da quel momento, comparirà solo nei racconti di pentiti e mafiosi, nelle fantasiose ricostruzioni. Ma andiamo con ordine.

In un primo momento, si pensò che i ladri, delinquenti comuni, non avessero contezza dell’inestimabile valore dell’opera rubata. L’intento era quello di tagliarla in pezzi e venderla al mercato nero, ma il piano sarebbe sfumato a causa della fama dell’opera che superava i confini della Sicilia e dell’attenzione che aveva sollevato il furto. E allora che fine ha fatto la Natività? Tra le tante ipotesi, mai scartate e mai confermate, c’è anche quella che a commissionare il furto fu Cosa Nostra.

Un ‘vanto’ della mafia: la leggenda delle riunioni di Cosa Nostra e le altre teorie

Secondo un pentito, la tela della Natività era un “ospite fisso” durante le riunioni della Cupola: veniva esposta come simbolo di potere e prestigio. Secondo un altro, Totò Riina usava il gioiello di Caravaggio come scendiletto. Sono tante le teorie sul destino dell’opera legate alla mafia siciliana, ma tutte le strade indicate da picciotti che hanno deciso di aprire la bocca non hanno trovato risconti o, peggio, si sono concluse con un vicolo cieco.

Seppellita nelle campagne di Palermo dal boss Gerlando Alberti (la cassa di ferro con la tela non fu mai trovata nel luogo indicato dal nipote), distrutta per sempre come raccontato da Francesco Marino Mannoia (il collaboratore confidò al giudice Giovanni Falcone di essere uno degli autori materiali del furto e che, nello staccare la tela e nell’arrotolarla, si sarebbe danneggiata irrimediabilmente). E ancora usata come merce di scambio da Giovanni Brusca che si offrì di riconsegnare il dipinto in cambio di un alleggerimento del 41 bis. Bruciata dopo essere stata rosicchiata dai topi e maiali secondo Gaspare Spatuzza (il pentito raccontò che la Natività era stata affidata alla famiglia Pullarà e nascosta in una stalla dove, senza protezione, fu rosicchiata da topi e maiali. I resti della tela sarebbero stati poi bruciati.

Distrutta, persa per sempre, ma nel terremoto dell’Irpinia scendo un giornalista britannico Peter Watson che dichiarò di essere stato sul punto di acquistare il gioiello di Caravaggio da un mercante d’arte, ma che all’appuntamento a Laviano, in provincia di Salerno, fissato per la sera il 23 novembre, non si presentò mai a causa del disastro che devastò la regione.

Quella che ora si trova sull’altare dell’Oratorio di San Lorenzo alla Kalsa, circondata dagli eleganti stucchi del Serpotta, è soltanto una riproduzione perfetta dell’opera, realizzata nel 2015.