Inchiesta su presunto patto politico-mafioso ed usura. Due arrestati chiedono di lasciare il carcere per motivi di salute


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Chiedono di lasciare il carcere per motivi di salute, dopo il loro arresto nell’ambito della maxi inchiesta che ha coinvolto anche l’ex sindaco di Neviano. Parliamo di Nicola Giangreco ed Alì Farhangi, finiti dietro le sbarre, il 7 febbraio scorso.

In mattinata, dinanzi al Tribunale del Riesame (Presidente Carlo Cazzella, a latere Antonio Gatto e Pia Verderosa), gli avvocati Francesco Vergine e Luigi Greco per Nicola Giangreco, 54 anni, di Aradeo e gli avvocati Andrea Starace e Francesco Vergine per Alì Farhangi, 61 anni, di Surbo, hanno presentato istanza di scarcerazione, sulla scorta della consulenza medica di parte, redatta dal dr. Francesco Faggiano. In particolare, viene evidenziata l’incompatibilita con il regime carcerario, a causa di alcune serie problematiche di salute.
Nella giornata di venerdì, il Riesame conferirà l’incarico al dr. Roberto Vaglio, per verificare, attraverso un’apposita consulenza, se sia necessario per i due arrestati ricevere cure specialistiche fuori dalle mura del carcere.

Come sostiene il pm Carmen Ruggiero della Dda: “Nicola Giangreco, direttamente sottoposto a Michele Coluccia, fungeva da mediatore nei rapporti di questi con i partecipi della frangia di Aradeo e con esponenti degli apparati politico- amministrativi locali”. Infatti, dalle indagini sarebbe venuto a galla un “patto di scambio politico-mafioso”.

Nell’ordinanza di arresto a firma del gip Sergio Tosi, si fa riferimento ad una conversazione intercettata con una terza persona, in cui Antonio Megha (ex sindaco ed assessore dimissionario di Neviano, finito ai domiciliari) riferiva di avere condiviso l’intenzione del mediatore Nicola Giangreco di rivolgersi al clan e di rendersi disponibile a soddisfare ogni loro richiesta, mentre Michele Coluccia gli garantiva cinquanta voti: “comunque gli ho detto le cose, gli ho detto guarda poi, dimmi… io che devo fare, perchè… non è che, per regolarmi che devo fare per voi, ha detto se è per noi … se è… ci sentiamo…. dice, PERÒ HA DETTO NON PIÙ DI CINQUANTA VOTI TI POSSIAMO GARANTIRE, ho detto, sono tanti dico…..poi dico naturalmente inutile dire che puoi disporre su Neviano”.

Nel prosieguo, Megha precisava che in cambio dei cinquanta voti si era impegnato a corrispondere la somma di 3.000 euro nonché a rappresentare i loro interessi nel territorio calabrese adempiendo a qualsiasi incombenza. E in questo contesto, secondo il giudice, va inquadrata la richiesta di Giangreco di agevolare l’assunzione del figlio del capo clan Michele, all’interno di un’azienda che operava nel settore della raccolta dei rifiuti urbani sui territori di Aradeo, Neviano, Collepasso e altri comuni, come emerge da una conversazione intercettata.

Invece, Alì Farhangi, è ritenuto dagli inquirenti uomo di fiducia e braccio destro di Michele Coluccia. Faceva da tramite nelle comunicazioni tra i capi Antonio e Michele. Nello specifico: “riceveva da questi le direttive da riportare ai vari componenti del gruppo, interveniva a protezione delle persone vicine al clan nel caso di compimento di azioni delittuose ai loro danni, fungeva da mediatore anche nei rapporti tra il clan Coluccia e gli esponenti di altre frange della Sacra Corona Unita, partecipava alla gestione dell’attivita di usura, riscuoteva i proventi delle attivita illecite”.