Il tentato omicidio avvenuto in pieno centro cittadino andrebbe inquadrato "nella contrapposizione, in atto a Nardò, tra elementi di spicco della criminalità organizzata". Da questa frase del gip Alcide Maritati è possibile ricostruire le dinamiche criminali che animano il territorio neretino.
Rapporti fluidi tra gruppi un tempo compartecipi di dinamiche estorsive, ma poi divisi da brame di potere che hanno un sol denominatore comune: il potere incontrastato sul territorio. Droga ed armi a disposizione dei clan, per le estorsioni ai commercianti e il controllo dello spaccio a Nardò e paesi limitrofi.
Ecco che allora l'omicidio di Calignano assume sfumature tipiche. Che le donne, come ipotizzano nelle ultime ore gli investigatori, abbiano un ruolo importante nella gestione degli affari dei clan fa ormai poca notizia; già agli albori della Scu, le donne gestivano gli affari più delicati dei capi-bastone (basti pensare alla moglie di Pino Rogoli, il fondatore della Sacra a Corona Unita brindisina).
Così come la piaga sociale dell'omertà attanagli piccole realtà come Trepuzzi (la vicenda del fantomatico "Triglietta" è certamente paradigmatica di certe connivenze), Squinzano, Surbo o paesi più grandi del Salento, quali Nardò.
Il lavoro degli inquirenti ė semmai orientato a capire perché l'obiettivo dell'agguato sia stato proprio Gianni Calignano. La futura vittima sarebbe stata individuata come un intruso in dinamiche estorsive che non lo includevano nel ruolo di "protettore".
Il suo "protetto" (la vittima di estorsione) – seppur messo alla strette – ha ripercorso la vicenda della richiesta di denaro, messa in atto dai tre indagati, attraverso minacce e violenze fisiche risultando fondamentale per ricostruire i retroscena della vicenda. Il commerciante ha, dunque, riferito di una prima richiesta estorsiva di 500 euro, da lui non "soddisfatta" per mancanza di liquidità, ma della quale venne informato Calignano. Questi si interessò alla faccenda, interloquendo con i presunti estorsori che ebbero, evidentemente, una reazione contraria alle "aspettative", che sfociò nel tentativo di ammazzare lo stesso Calignano.
Nello specifico, il commerciante racconta che Giampiero Russo, il 14 maggio, assieme a due persone a lui sconosciute (gli inquirenti sono sule tracce di due altri siciliani che risultano formalmente indagati) si recò presso l'attività commerciale e Russo avrebbe proferito la frase "Mi manda Zio Angelo, entro questa sera mi devi dare 500 euro, altrimenti ti fai le valigie e te ne vai". L'uomo riferì di non avere quel denaro e Giampiero Russo gli disse "cazzi tuoi, questo ti dovevo dire e questo ti ho detto".
Nel pomeriggio lo stesso Calignano avrebbe rassicurato il commerciante, dopo aver parlato con gli estorsori, dicendogli la frase "puoi dormire sonni tranquilli". Evidentemente le cose non andarono così, poiché la mattina del 16 maggio, si recarono presso il negozio, Francesco Russo e Angelo Caci a bordo di una macchina. Il primo, avrebbe detto al commerciante "perché fai tutte queste chiacchiere" (con riferimento all'intromissione di Calignano). Subito dopo, il siciliano sarebbe sceso dalla macchina e gli avrebbe sferrato alcuni pugni.
Durante il pestaggio, la vittima avrebbe notato all'interno della vettura, una pistola semiautomatica posta sul sedile di Caci. Visibilmente spaventato si sarebbe rintanato all'interno del negozio. Subito dopo, i due sarebbero andati via seguiti da un'altra macchina, al cui interno sarebbero stati notati Giampiero Russo e i suoi due compici.
Subito dopo, la vittima della tentata estorsione avrebbe telefonato a Calignano preoccupato soprattutto della "presenza" della pistola in auto, dicendogli "sono venuti di nuovo qui e mi hanno picchiato, vieni che ti devo parlare". L'incontro tra i due amici non sarebbe mai avvenuto, perché nel frattempo, il commerciante avrebbe saputo dell'agguato ai danni di Calignano.
Per questa vicenda, sono finiti in manette: Francesco Russo e il figlio Giampiero Russo, di Nardò; il 47enne originario di Gela, ma residente a Novara, Angelo Caci detto "Zio Angelo" arrestato con l'accusa di "tentata estorsione continuata e aggravata". Risultano indagati altri due siciliani, non ancora identificati.
Francesco Russo e Angelo Caci rispondono anche di "tentato omicidio" (senza l'aggravante della modalità mafiosa, come ipotizzato inizialmente) e "porto illegale di arma da fuoco". I tre imputati sono difesi dagli avvocati Francesco Fasano, Tommaso Valente e Francesca Conte.