Omicidio Caramuscio. La lettera di un imputato: “Da quel maledetto giorno ho un peso sulla coscienza”


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Una lettera scritta dal carcere in cui chiede scusa alla famiglia di Giovanni Caramuscio, il 69enne freddato con due colpi di pistola, il 16 luglio del 2021, nei pressi dello sportello bancomat a Lequile. La missiva risale al gennaio scorso ed è stata scritta da Andrea Capone, 28enne originario di Tricase, ma residente a Lequile, (uno dei due imputati), inviata al presidente della Corte d’Assise, Pietro Baffa ed al pubblico ministero Alberto Santacatterina.

Anche questo documento è confluito negli atti del processo. Come la lettera scritta dall’altro imputato Paulin Mecaj, 31enne di origini albanesi, ma residente a Lequile (considerato l’autore materiale dell’omicidio) e depositata, nel corso dell’udienza di giovedì scorso, attraverso il proprio legale, l’avvocato Luigi Rella. In questa missiva Mecaj, implorando il perdono della famiglia di Caramuscio, specifica: “Non avevo nessuna intenzione di ucciderlo, volevo solo fare una semplice rapina per l’acquisto di sostanza stupefacente e alcool di cui sono assuntore”.

Andrea Capone scrive: “la mia decisione di inviarle questa lettera è perché da quel maledetto giorno ho un peso sulla coscienza, sono molto dispiaciuto per la morte di quell’uomo e per il dolore che ho provocato ai suoi familiari…”. E conclude, affermando: “chiedo perdono alla moglie ed ai figli del signor Caramuscio, da quel momento non dormo più in pace”.

Nella prima parte della lettera, invece, il 28enne ricostruisce la giornata del 16 luglio del 2021, in cui si è verificato l’omicidio. Nel pomeriggio si era incontrato con Mecaj per bere e durante il tragitto per tornare a casa, i due passarono dal bancomat e nacque così l’idea della rapina. Poi giunsero sul posto un uomo e una donna ed afferma Capone: “Nel momento in cui ci siamo avvicinati, ho visto che Paulin aveva una pistola, non so da dove l’avesse tirata fuori..lui mi ha fatto cenno di avvicinarmi all’uomo, così ho fatto…alla reazione ho tentato di prendergli il portafoglio e sono scappato, dopo pochi istanti ho sentito uno sparo e poi un altro, sono tornato sul posto e da dietro un angolo ho visto l’uomo a terra. Poi mi sono avvicinato a Paulin e gli ho detto: “Cosa hai fatto? Sei impazzito? Da dove è uscita questa pistola?”

Capone prosegue il racconto: “Sono tornato a casa… mi sono chiuso in camera, rivedevo la scena e speravo che fosse solo ferito; ero angosciato, paralizzato e pieno di rimorsi, non sapevo cosa fare, volevo confidare l’accaduto a qualcuno.. così magari mi avrebbe consigliato di recarmi presso le forze dell’ordine, ma la paura è stata enorme” E dopo avere appreso dai media, la notizia della morte dell’uomo e dell’arresto di Mecaj, afferma nella lettera: “Ho pensato di comportarmi come sempre per non fare preoccupare mia madre, la mia fidanzata”. Fino all’arresto avvenuto poche ore dopo l’omicidio.

Il processo

Il processo si sta celebrando dinanzi ai giudici della Corte d’Assise (presidente Pietro Baffa, a latere Maria Francesca Mariano e giudici popolari).

I familiari di Giovanni Caramuscio, 69 anni di Monteroni -la moglie Anna Quarta ed i figli Roberta, Fabio e Stefano- assistiti dall’avvocato Stefano Pati si sono costituiti parte civile. Andrea Capone è difeso dagli avvocati Raffaele De Carlo e Maria Cristina Brindisino. Paulin Mecaj è assistito dall’avvocato Luigi Rella.

I due imputati rispondono dei reati di omicidio aggravato, rapina e porto abusivo di arma.