Omicidio di Gabriele Manca: Giuseppino Mero e gli altri due indagati fanno “scena muta” davanti al giudice


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Si avvalgono della facoltà di non rispondere i tre indagati destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per l’omicidio di Gabriele Manca. Il 21enne, originario di Lizzanello, scomparve il 17 marzo 1999 e fu ritrovato privo di vita il 5 aprile, in una zona di campagna ubicata sulla strada Lizzanello-Merine, a ridosso di un muretto a secco.

Davanti al gip Alcide Maritati, Giuseppino Mero, 53enne di Cavallino, assistito dall’avvocato Umberto Leo ha fatto “scena muta”. Così come Omar Marchello, 39enne di Lizzanello e Carmine Mazzotta, 44enne di Lecce, difesi dagli avvocati Giancarlo Dei Lazzaretti e Fulvio Pedone. Gli interrogatori di garanzia si sono tenuti, in mattinata, dal carcere di Borgo San Nicola.

I tre arresti

Ricordiamo che, mercoledi scorso, i Carabinieri del R.O.S. hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Omar Marchello, Carmine Mazzotta e Giuseppino Mero (tutti allo stato detenuti per altra causa), in quanto ritenuti responsabili di concorso in omicidio aggravato dai futili ed abbietti motivi e dalla premeditazione e porto abusivo di armi.

Le prime indagini permisero di accertare che Gabriele Manca era stato attinto da alcuni colpi di pistola cal. 7,65 alle spalle, alcuni dei quali esplosi a breve distanza.

Le indagini svolte all’epoca già consentirono di inquadrare il contesto criminale nell’ambito del quale era maturato l’agguato, essendo stata principalmente accertata l’esistenza di un aspro contrasto in essere tra la vittima e uno degli arrestati, Omar Marchello che, circa due anni prima dell’omicidio, nel corso di una discussione verosimilmente sorta per questioni legate al traffico di stupefacenti nel territorio di Lizzanello, sarebbe stato ferito al volto con un coltellino dallo stesso Manca.

A ciò era seguita la condotta ulteriormente irrispettosa che quest’ultimo avrebbe continuato a mantenere nei confronti di Omar Marchello, accusato platealmente di essere un “infame” per aver sporto denuncia nei confronti di Manca in seguito al ferimento. Circostanze queste che, insieme alla fermezza con cui la vittima avrebbe deciso di spacciare stupefacenti senza la “autorizzazione” criminale sul territorio controllato da Marchello e dal gruppo a cui lo stesso faceva capo, si ritiene costituiscano il valido movente per l’eliminazione di Gabriele Manca, i cui comportamenti non potevano essere tollerati senza che fosse minata la “credibilità” dell’associazione criminale operante su quel territorio.

A distanza di tempo, le dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia e le attività di riscontro svolte, hanno permesso di consolidare il quadro accusatorio e delineare compiutamente le responsabilità contestate agli indagati.

Tra questi, in particolare Alessandro Verardi, esponente di vertice della frangia del sodalizio mafioso operante su Merine, Lizzanello e Cavallino, su un’area territoriale comprensiva quindi della zona in cui viveva la vittima e in cui si era consumato l’omicidio, ha riferito che Omar Marchello decise l’eliminazione fisica di Manca insieme a Mazzotta, anche lui esponente del gruppo criminale operante su quel territorio e che l’agguato era stato teso grazie al contributo di Giuseppino Mero (attivo nel traffico di sostanze stupefacenti nella medesima area) che lo aveva condotto nella campagna dove ad attenderlo vi erano gli altri indagati.

Un ulteriore elemento indiziario è stato raccolto a carico di Omar Marchello in seguito ad alcune dichiarazioni raccolte nel 2015 nell’ambito di un altro procedimento penale da cui è emerso che, in un’occasione, lo stesso Omar Marchello, dopo un’aggressione a cui uno degli indagati aveva assistito, lo aveva espressamente minacciato affermando testualmente: “e tie non ha istu nienti se no te fazzu fare la fine ca n’aggiu fattu fare allu Gabriele Manca mangiato te li cani intru alle campagne”.

L’ordinanza del giudice

Il giudice spiega i motivi dell’accoglimento della misura cautelare in carcere, su richiesta del pm Antonio De Donno.

Il gip Maritati ha sottolineato, nell’ordinanza di 39 pagine, che “la responsabilità degli indagati risulta pienamente riscontrata sulla base della valutazione degli indizi sopra evidenziati”. Parimenti, ritiene che rimangono alcuni punti oscuri della vicenda, che riguardano però l’eventuale ” corresponsabilità di altre persone identificate o in corso di identificazione, nonché in ordine al mancato ritrovamento dell’arma….” .

Per il quarto indagato con la stessa imputazione, P.M. 39enne, da tempo residente fuori regione, invece, il gip ha rigettato la richiesta di applicazione della misura.