Omicidio Angela Petrachi: No a revisione processo per Giovanni Camassa, condannato all’ergastolo


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Arriva un altro No alla revisione del processo sull’omicidio di Angela Petrachi, la giovane mamma trovata senza vita alla periferia di Melendugno, il 26 ottobre del 2002.
La Corte di Cassazione ha rigettato l’istanza della difesa che chiedeva di riaprire il procedimento per rivalutare la posizione del marito Giovanni Camassa, alla luce di nuovi elementi probatori sul Dna.

Gli “ermellini” hanno rigettato il ricorso presentato dall’avvocato Ladislao Massari. Come fece un anno fa, la Corte di Appello di Potenza. Veniva chiesta, come detto, la revisione del processo al termine del quale l’agricoltore 51enne di Melendugno venne condannato in via definitiva all’ergastolo per l’assassinio della moglie. Rispondeva delle accuse di omicidio volontario, violenza sessuale e vilipendio di cadavere.

Il legale, nei mesi scorsi, sula scorta della relazione tecnica di parte del professor Adriano Tagliabracci, docente di medicina legale presso l’Università delle Marche e genetista forense, ha indicato la presenza di un nuovo profilo genetico riconducibile ad un’altra persona.
Inoltre, sosteneva che la consulenza tecnica sulle celle telefoniche, da cui emerse che la posizione del cellulare di Camassa fosse compatibile con luoghi e orari del delitto, sarebbe da ritenere inaffidabile.

Le indagini

La 31enne Angela Petrachi, mamma di due figli piccoli, scomparve il 26 ottobre del 2002 e il cadavere venne ritrovato 13 giorni dopo. Giovanni Camassa venne arrestato nell’aprile del 2003. Nel gennaio del 2007, l’uomo venne scarcerato, dopo che la Corte d’Assise prosciolse l’imputato con formula piena, «per non aver commesso il fatto». In seguito al ricorso presentato dalla Procura, Giovanni Camassa venne condannato all’ergastolo dall Corte d’Assise d’Appello.

L’imputato venne riconosciuto colpevole di aver dapprima violentato la Petrachi nelle campagne di Borgagne, strangolata con i suoi stessi slip, per poi seviziare con il coltello il corpo esanime.

Secondo i giudici di Appello, l’assenza del profilo genetico dell’imputato sul corpo della vittima, era una diretta conseguenza dell’esposizione del cadavere e dei suoi indumenti agli agenti atmosferici, per ben 13 giorni dopo la morte.

Il 26 febbraio del 2014, la Corte di Cassazione rigettò il ricorso della difesa e la condanna divenne definitiva.

Intanto su Facebook è nato un gruppo, creato da un nipote di Camassa, che proclama l’innocenza dello zio.