Erano accusati di un raggiro di migliaia di euro ai danni dell'INPS ed è arrivata la condanna per Ernesto Abaterusso e suo figlio Gabriele. Il giudice Maria Pia Verderosa della seconda sezione in composizione monocratica, ha emesso la sentenza nel tardo pomeriggio di oggi, infliggendo una pena di 1 anno e 6 mesi per entrambi. Il giudice ha anche disposto la sospensione della pena per tutti e due e per Gabriele Abaterusso anche la " non menzione nel casellario giudiziario".
Il vpo d'udienza Antonio Paladini nella discussione tenutasi oggi in aula, ha chiesto l'assoluzione per entrambi, dopo l'ascolto di un funzionario dell'INPS. Il colleggio difensovo era composta dagli avvocati Fritz Massa, Antonella Corvaglia, Marcello Risi, Leonida Marzano e Giuseppe Antonica.
Invece, nell'udienza del 16 novembre scorso, il vpo aveva invocato una condanna a 2 anni e 2 mesi di reclusione ciascuno, con l'accusa di truffa e l'aggravante di essere stata commessa ai danni di un ente pubblico. Essa avrebbe fruttato, secondo quanto sostenuto in un primo momento dall'accusa, complessivamente una somma di circa 500mila euro. Al termine di quell'udienza però, il giudice Verderosa emise un'ordinanza, nella quale chiedeva di sentire un funzionario dell'INPS. Venne così accolta l'istanza avanzata dall'avvocato Fritz Massa. Egli sosteneva la tesi della carenza di prove su cui si baserebbe l'intero processo, durante il quale non erano stati ascoltati né i lavoratori, né tantomeno i funzionari dell'INPS.
I fatti risalirebbero al periodo intercorso tra luglio e settembre 2007, quando il 59enne Ernesto Abaterusso ed il figlio 34enne, Gabriele Abaterusso, erano gli amministratori "di fatto" del “Calzaturificio Vereto srl” con sede a Morciano di Leuca, nonché della Gea srl collocata a Gagliano del Capo. Difatti, secondo l'accusa, in data 11 novembre del 2005, sarebbe risultata sospesa l'attività del “Calzaturificio Vereto", ma appena tre giorni dopo, avrebbe cominciato ad operare la Gea, servendosi degli stessi macchinari e del medesimo personale. Sarebbero stati così messi in mobilità 40 lavoratori dipendenti e soprattutto, Ernesto Abaterusso e suo figlio Gabriele avrebbero falsamente dichiarato all'INPS una sospensione dell'attività lavorativa, indicando i periodi per ciascun lavoratore, e "l'avvenuta anticipazione del trattamento di integrazione salariale". In realtà, sosteneva il pm, l'azienda andava avanti avvalendosi del personale falsamente dichiarato "in cassa integrazione". Così facendo, essi avrebbero indotto in errore l'INPS, ottenendo il "riconoscimento della cassa integrazione guadagni". I due amministratori, dunque, avrebbero poi portato "a conguaglio" tale somma, grazie ai "contributi" risultanti dalle dichiarazioni relative ai periodi paga in questione. Dunque, secondo l'accusa, i lavoratori sarebbero stati impiegati "in nero"senza ottenere la retribuzione della cassa integrazione, falsamente dichiarata.
Ricordiamo inoltre, che è stata confermata anche in Appello, nel febbraio scorso, la condanna per Gabriele Abaterusso, (erano stati inflitti in primo grado due anni di reclusione dai giudici della Seconda Sezione Penale), pena sospesa, ritenuto responsabile del crack finanziario del “Calzaturificio Vereto srl” Egli era stato riconosciuto colpevole del reato di "bancarotta per distrazione”. Proprio per questa ragione, egli non si candidò alle elezioni regionali del 2015 ed al suo posto si presentò nelle liste del Pd, il padre Ernesto Abaterusso, così come fortemente voluto dall'attuale Governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano.
A poco, pochissimo tempo di distanza dalla lettura della senteza arriva la dichiarazione del Consigliere Regionale del Pd Ernesto Abaterusso: “Ho l’impressione che la sentenza fosse già predisposta a prescindere dallo svolgimento del processo.
In otto anni di processo, di indagini (sic!!), di ascolti, neanche la benché minima prova – una sola almeno – è venuta fuori a carico mio e di Gabriele.
Un rimpallo di responsabilità tra Ispettorato del lavoro e Inps degna di una autentica farsa.
Persino il responsabile dell’accusa se n’è accorto e ciò lo ha indotto a riformulare la richiesta chiedendo l’assoluzione dopo aver inizialmente chiesto la condanna.
Le accuse che ci riguardavano erano già cadute davanti ai giudici civili che, in ben otto cause, hanno annullato tutti i verbali di Inps e Inail, condannando gli stessi al pagamento delle spese processuali.
Sono amareggiato non per la condanna, ma per il fatto di vivere in un paese dove sia possibile un fatto simile.
Mi consola la solidarietà espressa a me e a Gabriele dagli oltre cento dipendenti i quali sanno bene come sono andati i fatti.
Ciò ci spinge a continuare nella strada intrapresa tanti anni fa che, pur tra tante difficoltà e ostacoli, ha portato lavoro e benessere al mio territorio ed tante famiglie”.