Irregolarità nel consolidamento della scogliera del “Ciolo”. La Procura chiede tre condanne


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Arrivano tre richieste di condanna nel processo sulle presunte irregolarità del progetto di consolidamento della scogliera del “Ciolo” di Santa Maria di Leuca. Nelle scorse ore, dinanzi al giudice monocratico Valeria Fedele, si è tenuta la requisitoria del procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone. La Pubblica Accusa ha chiesto 8 mesi di arresto per Daniele Accoto, 48enne di San Cassiano, responsabile del settore pianificazione del Comune di Gagliano del Capo e per l’ingegnere Daniele Polimeno, 63enne di Spongano.

E poi, 6 mesi di arresto per Ippazio Fersini, 65enne di Gagliano del Capo, facente parte di un’associazione temporanea di professionisti incaricata di redigere il piano dei servizi tecnici di progettazione e direzione dei lavori. Chiesta, invece, l’assoluzione per Emanuela Torsello, 56 anni di Alessano, collega di Fersini.

Il processo è stato aggiornato al prossimo 30 gennaio, per eventuali repliche e sentenza.

Gli imputati rispondono a vario titolo ed in diversa misura dei reati di distruzione o deturpamento di bellezze naturali, abusivismo edilizio.

Sono assistiti, tra gli altri, dagli avvocati Riccardo Giannuzzi, Francesco Nutricati, Stefano De Francesco, Francesco Maggiore. Il collegio difensivo ha sostenuto, nel corso della discussione in aula, che le reti metalliche non sono state mai applicate e non c’è mai stato un inizio dei lavori. Inoltre, la trafila seguita per proteggere il costone roccioso sarebbe stata regolare dal punto di vista amministrativo.

Il processo “Ciolo” è ricominciato daccapo nei mesi scorsi, per la nullità del primo decreto che disponeva il giudizio, emesso al termine dell’udienza preliminare.

Stralciate due posizioni

Occorre ricordare che le posizioni di Vincenzo Moretti, 58 anni di Bari e Caterina Di Bitonto, 45enne di Barletta, funzionario e dirigente dell’ufficio programmazione delle politiche energetiche Via/Vas della Regione, sono state da tempo stralciate per difetto di competenza territoriale. Dunque, non vi è stata alcuna richiesta di condanna della Procura, a 6 mesi di arresto per il reato di falso, come riportato erroneamente in una precedente stesura dell’articolo. Ci scusiamo, quindi, con i diretti interessati per l’errore.

Vincenzo Moretti e Caterina Di Bitonto sono entrambi assistiti dall’avvocato Alessandro Dellorusso.

L’inchiesta

Il 3 febbraio del 2015, la Procura aveva disposto il sequestro probatorio. Dunque, gli uomini del Nucleo Investigativo Provinciale di Polizia Ambientale e Forestale (Nipaf) avevano apposto i sigilli al cantiere di monitoraggio, pulizia della roccia e studio della falesia del Ciolo, avviato alle fine del 2014.

Non solo, poiché alcuni giorni dopo venne effettuata una prima accurata verifica dello “stato dei luoghi” e fu affidato l’incarico a due geologi per accertare se il progetto di consolidamento fosse compatibile con la conformazione della scogliera. La relazione depositata dagli specialisti Bianca Saudino e Giancarlo Bortolami evidenziò come gli interventi risultassero inutili e dannosi.

L’indagine partì da un esposto di Legambiente (parte civile nel processo con l’avvocato Anna Grazia Maraschio), corredato da fotografie raffiguranti i grossi fori praticati nella roccia dagli operai, per l’applicazione delle reti previste nel progetto. Esso prevedeva l’utilizzo di oltre duemila tondini di acciaio, circa 5 km di perforazioni e la demolizione di oltre 600 metri di scogliera. Per tale mastodontica opera era stata stanziata la somma di circa 1 milione di euro.