‘Semeraro era consapevole della contaminazione da idrocarburi’. Le motivazioni della sentenza d’Appello


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«Giovanni Semeraro era consapevole dell'esistenza di una assai grave contaminazione da idrocarburi, non solo del terreno ma specificatamente della falda acquifera superficiale e profonda». È solo un passaggio delle motivazioni della sentenza di Appello con cui la Corte, nel febbraio scorso, ha condannato l'ex patron del Lecce Calcio per i reati di "avvelenamento di acque", "delitti colposi contro la salute pubblica" e "omissione di messa in sicurezza".
  
La Corte di Appello, presieduta da Vincenzo Scardia, ha inflitto a Semeraro una condanna di 2 anni e 6 mesi (confermando in toto la sentenza di primo grado), riconoscendo la sospensione della pena, condizionata alla bonifica e al ripristino dei luoghi e al risarcimento delle parti civili  (confermando in toto la sentenza di primo grado). Nei confronti dei coniugi Fiorentino, assistiti dagli avvocati Giuseppe e Michele Bonsegna, era stata riconosciuta una provvisionale di 100mila euro, 35mila per l’Università, 15mila per la Regione, 5mila per il Codacons e Legambiente.
  
Nelle 38 pagine di motivazioni, il giudice estensore Eva Toscani afferma che Semeraro  «non ha operato alcuna comunicazione, anzi ha acquistato il pozzo profondo inquinato e nel quale si realizzava un contatto fra falda superficiale- già inquinata per effetto degli idrocarburi penetrati nel sottosuolo e falda profonda». Inoltre, ritiene il giudice «il reato deve essere considerato tuttora permanente, giacché si è accertato che vi sia tuttora un attuale rilascio degli idrocarburi dal terreno contaminato alla falda acquifera ed un progressivo trasporto -tuttora in atto- di detti inquinanti attraverso l'acqua di falda, secondo la direzione naturale del suo flusso».
  
Infine, tale situazione sarebbe peggiorata per "la mancata adozione di idonei interventi di messa in sicurezza e di successiva bonifica, atteso che non sono state rimosse né isolate effettivamente le matrici contaminate".  
 
Secondo il pubblico ministero Ennio Cillo, titolare dell'inchiesta, l’area sottostante il cantiere universitario ed una parte del “Parco di Belloluogo" è stata contaminata da idrocarburi pesanti, che superavano i limiti previsti dalla normativa vigente. L’ipotesi era che la causa della contaminazione del suolo fosse in qualche modo collegata alla vicinanza con l’ex deposito di carburanti Apisem di proprietà della “RG Semeraro”, alla periferia nord del capoluogo salentino.A dare l'avvio alle indagini, nell'ottobre del 2010, l’esposto di alcuni residenti della zona che lamentavano la presenza di odori nauseabondi provenienti proprio dal cantiere dell'Università. L’intero complesso è stato anche sottoposto a sequestro preventivo dai carabinieri del Noe di Lecce e poi dissequestrato.
 
Il legale di Semeraro, l'avvocato Andrea Sambati, ha invece sempre sostenuto come il deposito di carburanti, insistente sul terreno della Rg Semeraro, fosse stato dismesso nel lontano 1997 e da allora non è stato più possibile alcun tipo di sversamento di materiale inquinante.
 
Riguardo alla bonifica dei luoghi, il legale dell’imprenditore ha sottolineato che quando la Rg Semeraro ha appreso dell’esistenza dell’inquinamento, ha immediatamente intrapreso le operazioni necessarie di “messa in sicurezza", "onorando",  l'impegno assunto con Regione, Provincia e Comune.