Una dura requisitoria che si conclude con l'invocazione di ben 40 anni di carcere per i cinque imputati del processo sulla maxi truffa Poste di Parabita. Oggi, dinanzi al collegio della prima sezione penale, presidente Gabriele Perna, a latere Silvia Minerva e Alessandra Sermarini, il pubblico ministero Giovanni Gagliotta ha chiesto: 13 anni per Cosimo Prete, già assessore comunale, qui nelle vesti di responsabile del settore consulenze della filiale; 7 anni per Marcolino Andriola, 48enne, di Cellino San Marco e Antonio Silvestri, di 40, di Casavatore (Napoli) e Andrea Cesarini, 40, di Ladispoli (Roma); 6 anni per Luigi Cecere, 27, di Casavatore ( provincia di Napoli).
Tutti rispondono in diversa misura e a vario titolo, di truffa aggravata, peculato, falsità materiale e riciclaggio. Altri due imputati, invece, hanno scelto di essere giudicati in abbreviato: Stefania Di Matteo, 49, di Palombara (Roma) e Assunta Silvestri, 46 anni, residenti a Casavatore, (la seconda condannata a 4 anni dal gup Simona Panzera).
Il collegio difensivo è composto dagli avvocati: Elvia Belmonte, Alessandro Greco e Davide Dell'Atti per alcuni imputati. Invece, le parti civili sono difese da Walter Gravante, Luigina Fiorenza, Luca Laterza, Giuseppe Grasso, Francesca Conte, Luca Castelluzzo, Laura Pisanello, Luisa Urro e Giuseppe Gambellone.
La maxi truffa, avente come centro nevralgico, il piccolo comune del basso Salento avrebbe però mietuto altre vittime; più di dieci persone, in maggioranza anziani di Parabita sarebbero stati truffati e prosciugati dei propri risparmi. Ed in totale sono state sedici le persone, vittime delle truffe, a costituirsi parte civile.
Prete avrebbe architettato, come prima cosa, il piano per svuotare il conto corrente di una donna di origini eritree, ma residente a Locri, in Calabria, per più di un milione di euro ( ella già sentita nella scorsa udienza, avrebbe confermato tutto). Prete avrebbe sostanzialmente creato una sorta di copia del libretto, cointestato alla ignara vittima e ad una delle indagate a piede libero. Qui era confluita parte dei soldi, precisamente 437mila euro; la parte più sostanziosa era stata trasformata in otto buoni fruttiferi postali del valore di 100mila euro ciascuno; mentre altri 52mila euro erano stati consegnati, sotto forma di vaglia, a un autosalone di Lecce. Poche ore dopo aver trasferito in maniera truffaldina i soldi, infatti, gli indagati avrebbero fatto il primo acquisto: una Bmw serie 1, acquistata la sera stessa.
Altre auto, nel corso dei mesi successivi, sarebbero poi finite nella disponibilità degli indagati.
A scoprire la truffa un controllo interno di Poste Italiane. Dopo aver contattato la donna, i responsabili dell’Ente hanno capito che si trattava di un’operazione fraudolenta e hanno avvertito la Procura. È stata così aperta un'inchiesta dal sostituto procuratore Giovanni Gagliotta e le indagini sono state condotte dalla sezione di polizia giudiziaria.