Fabio Perrone torna nel Salento e chiede perdono alla proprietaria dell’auto che rubò nella fuga da film


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È stato il giorno del processo a carico dell'ex latitante Fabio Perrone, conosciuto come 'Triglietta' e del suo ritorno "blindato" nel Salento. Come da copione, vi è stato un imponente dispiegamento di forze dell'ordine per la traduzione dal penitenziario di Castrovillari, all'aula bunker di Borgo San Nicola.
  
Questa volta, dopo il rinvio per il rifiuto dell'imputato di essere presente al processo soltanto in videoconferenza, tutto si è svolto regolarmente. Innanzi al gup Carlo Cazzella, nel corso del giudizio abbreviato, hanno discusso le parti e la richiesta di condanna del pm Stefania Mininni è stata di 10 anni. 
  
Fabio Perrone ha rilasciato, per la prima volta, spontanee dichiarazioni chiedendo perdono. In particolare, si è rivolto alla signora a cui aveva sottratto l'auto nell'atrio del "Vito Fazzi", rivolgendole proprie scuse.
  
"Triglietta" ha poi affermato di aver sottratto l'arma, ma di non aver sparato per primo. Insoma, voleva la pistola per potersi "difendere" durante la fuga, ma non intendeva utilizzarla in ospedale.
  
Il processo è stato aggiornato al 30 settembre per la sentenza. Il difensore di Perrone, l'avvocato Ladislao Massari, ha chiesto al giudice un trattamento sanzionatorio contenuto, per il proprio assistito. Il legale ha evidenziato l'eccessiva spettacolarizzazione del suo arresto e, in alcuni frangenti, la mancanza di rispetto dei suoi diritti di detenuto.
  
Ricordiamo che il 42enne di Trepuzzi fuggì il 6 novembre 2015 dal "Vito Fazzi" dove si era recato grazie ad un "permesso" per sottoporsi ad una gastroscopia. Perrone, mentre si apprestava alla visita medica, avrebbe prima sfilato la pistola dalla fondina di una guardia giurata e poi sparato all'impazzata, ferendo un agente ad un gamba. Arrivato nell'atrio dell’Ospedale avrebbe sottratto una macchina ad una signora, per poi allontanarsi  a tutta velocità, travolgendo nella fuga un altro poliziotto.
  
Venne riacciuffato il 9 gennaio del nuovo anno a Trepuzzi, il paese che gli ha dato i natali, dopo ben oltre mesi di latitanza.
  
"Triglietta" era stato condannato alla pena dell'ergastolo dal gup Simona Panzera ed evase dal carcere proprio mentre scontava la pena inflittagli in primo grado. Il 42enne è l'omicida reo-confesso del cittadino montenegrino Fatmir Makovic e l'autore del ferimento del figlio, avvenuto all’interno del bar “Gold” di Trepuzzi.
  
Un primo capitolo della vicenda sull'evasione di Fabio Perrone si è concluso il mese scorso, con il patteggiamento a 3 anni e 6 mesi per Stefano Renna, difeso dall'avvocato Luigi Rella (che ha anche ottenuto i domiciliari) accusato di favoreggiamento e detenzione illegale di armi e munizioni da guerra. Questi è il proprietario dell'appartamento di via 2 giugno, dove venne arrestato Perrone.  
  
Pare acclarato che Triglietta, durante la latitanza, si sia avvalso della copertura e dell'aiuto concreto di una vasta rete di fiancheggiatori (per ottenere cibo, soldi e rifugi) e addirittura dell'ausilio di un infermiere per le cure alla ferita rimediata durante la fuga. Ma anche armi, visto che Perrone fu trovato in possesso di un Kalasnikov proveniente presumibilmente dagli ambienti criminali della Scu. Inoltre, c'era il rischio che con il passare del tempo, l'evaso potesse diventare una sorta di mito. Trepuzzi si stava trasformando in una sorta di "genius luci" del "bandito campione". È lunga la lista di criminali, basti pensare a Salvatore Giuliano o Lucky Luciano e oltreoceano, a Billy The Kid e Ned Kelly, che in virtù delle proprie gesta sprezzanti del pericolo, hanno goduto di una sorta di deificazione nell'immaginario collettivo di intere comunità, grazie al filtro mediatico, letterario e cinematografico.
  
Purtroppo, non sarà dunque facile risalire alla fitta rete di fiancheggiatori che hanno aiutato Perrone durante la latitanza. Anche perché nei mesi scorsi sono stati depositati dai Ris, i risultati delle analisi di laboratori sulle tracce di Dna ritrovate sulla Toyota Yaris utilizzata da Perrone per fuggire dall'ospedale. I militari non son però riusciti ad isolare alcun profilo genetico certo, per risalire ai presunti complici.