Lo avrebbe ammazzato, colpendolo violentemente con un tubo metallico per poi gettare il cadavere in un pozzo situato in campagna. È dunque ufficialmente chiusa, l'inchiesta sull'omicidio di Ivan Regoli, verificatosi il 12 settembre del 2011, in cui compare come unico indagato l’assassino reo confesso Cosimo Mele. Nelle scorse ore, il procuratore aggiunto Antonio De Donno ha notificato l’avviso al 35enne originario di Matino, il quale risponde di omicidio volontario aggravato dai futili e abietti motivi ed occultamento di cadavere. Mele è assistito dagli avvocati Gabriella Mastrolia e Ugo Marinucci, quest’ultimo del Foro di L’Aquila. La madre, i due fratelli e la ex compagna di Regoli sono invece difesi dagli avvocati Francesco Piro, Maria Greco, Francesca Conte e Gennaro Gadalena del Foro di Roma.
Il 35enne avrebbe agito da solo, senza l'aiuto o la copertura di complici, sia nella preparazione che nell’esecuzione dell'assassinio. Inizialmente, venne indagato anche lo zio dell’assassino, un 44enne di Parabita. La sua auto, venne sottoposta ad una serie di esami per rilevare eventuali tracce di sangue riconducibili alla vittima, ma tali accertamenti ebbero esito negativo. I resti del corpo di Regoli furono ritrovati il 1° agosto dell'anno scorso, all'interno di un pozzo nelle campagne di Matino in località Sant'Anastasia. Mele venne arrestato il 13 marzo 2014 a L'Aquila, al termine delle indagini condotte dai Carabinieri del Reparto Operativo e della Compagnia di Casarano. Nei suoi confronti, venne eseguita un’ordinanza di custodia cautelare in carcere (attualmente detenuto nel carcere di Lecce). Sul capo dell’uomo, comunque, già da tempo pesava più di un sospetto. L’indagato, infatti, è il figlio della donna un tempo proprietaria del terreno agricolo in cui si trova il pozzo, nel quale venne gettato il corpo del 29enne, appezzamento poi venduto ad un poliziotto in pensione. Le cimici piazzate nella macchina dell’uomo consentirono di chiudere il cerchio attorno a lui.
La conferma di alcuni importanti particolari in merito alla dinamica dell'assassinio ed alla scena del crimine emersero dall'interrogatorio nel carcere. Mele, difeso dall'avvocato Gabriella Mastrolia, ha prima preso visione della riproduzione fotografica dello stato dei luoghi, fornita dai Carabinieri di Bari e da cui risultavano bene in evidenza le macchie di sangue, grazie all'utilizzo della tecnica del "luminol" (composto chimico utilizzato dalla polizia scientifica per rilevare le macchie di sangue); dunque ha ribadito, di fronte al procuratore aggiunto Antonio De Donno, il proprio ruolo di autore materiale dell'omicidio. Il 21 febbraio scorso, invece, sempre prima dell'arresto, al termine di un lungo interrogatorio, Mele è definitivamente crollato: 'Ho perso la testa, è stato frutto dell’impulso del momento. Non volevo ucciderlo', ha dichiarato. Si è poi giunti all'interrogatorio di garanzia di fronte al Gip Gallo, in cui l'uomo ha confermato quello che già aveva affermato alla presenza di De Donno. Mele ha afferamto che Regoli gli chiedeva insistentemente soldi. Dopo i suoi rifiuti, presso la campagna dove fu poi ritrovato il corpo, si verificarono dei piccoli danneggiamenti e furti, di cui secondo il reo-confesso era responsabile proprio Regoli.
Il drammatico epilogo della vicenda avvenne il 12 settembre di quattro anni fa. E' lo stesso Mele a raccontarlo al giudice: "Dopo aver incontrato Regoli, entrambi ci dirigemmo verso la campagna. "Ci recammo nello scantinato dove c'erano gli attrezzi dell'impresa edile di mio padre e gli contestai la responsabilità sia dei furti che dell'incendio. "Seguì una colluttazione; impugnai un tubo metallico e lo colpii in testa; mi accorsi che il Regoli era rimasto immobile a pancia in giù". Subito dopo, Mele decise di gettarlo nel pozzo e si allontana dalla campagna.