Dimissioni o compromesso? Queste le strade per evitare la paralisi della città di Lecce


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Lo scossone di terremoto è ancora in corso: i moti di assestamento sono ancora lontani. Cosa nel sarà del Comune di Lecce ora che il Consiglio di Stato ha ribaltato la composizione del Consiglio Comunale? Cosa ne sarà del destino dell’amministrazione guidata dal Sindaco Salvemini ora che ha perso in aula i numeri della maggioranza?

Sono queste le domande che attanagliano i cittadini leccesi, immersi in un limbo di attacchi, frecciate, accuse e ritorsioni. Da una parte c’è il Primo Cittadino, uscito malamente dalla consultazione elettorale del primo turno, ma vittorioso al ballottaggio, che ha spiegato chiaramente di voler chiamare tutti i consiglieri comunali ad un atto di responsabilità, procedendo alla conta dei numeri direttamente in aula. L’approvazione del bilancio di previsione sarà lo spartiacque: o ci sarà e si andrà avanti passetto dopo passetto, oppure tutti a casa, con decadenza degli organi e la nomina di un commissario prefettizio.

Il centrodestra ancora dilaniato dalle divisioni interne

Dall’altra parte il centrodestra, adesso maggioranza nella principale assise cittadina, ma che da anni non riesce a superare divisioni e frizioni interne nella sua coalizione. Salvemini ha rispedito agli azzurri la responsabilità di decidere: o ci si accorda su un programma di larghe intese, oppure dimissioni in blocco dei 17 – ora maggioranza – e voto subito. Si mormora che dopo le “contrattazioni” delle ultime ore solo un consigliere sia indeciso e non è detto che, fino a domani alle 9.30, quando Salvemini ha fissato il “primo” Consiglio, non chi sia favorevole alle dimissioni non riesca a convincerlo.

Da una parte e dall’altra si susseguono telefonate, riflessioni, attacchi e spruzzate di veleno: c’è da fare in fretta perché per andare subito a nuove elezioni serve che il Consiglio Comunale firmi le dimissioni del 50% + 1 della sua composizione entro la giornata di sabato. Passato quel giorno, le dimissioni (o decadenza) del sindaco apriranno un lungo commissariamento governativo della città prima di tornare alle urne nella primavera/estate del 2019.

Ogni decisione che verrà partorita nelle prossime ore sarà politicamente legittima. Ma c’è da fare i conti con l’incertezza. Quella incertezza che da mesi avvolge Lecce e che un Commissario di certo non placherebbe. C’è un rischio da scongiurare a tutti i costi: proprio quello del commissariamento. Non si può pensare a una Lecce amministrata per i soli affari correnti, per l’ordinaria amministrazione, perché di ordinario questa città non ha proprio nulla, a partire dalle sue contraddizioni.

Il tessuto economico della città non può permettersi periodi di stallo

Lasciare per 15 mesi la città a un Commissario significherebbe ignorare per oltre un anno le istanze economiche e sociali dei leccesi, rimandare ulteriormente una ripresa economica che è ancora lontana, lasciare il tessuto imprenditoriale cittadino ancor più al loro destino, senza scelte coraggiose – condivisibili o meno – che solo la politica può garantire.

Già, la politica. La politica tutta ha il pallino del gioco: la maggioranza dei signori consiglieri può dimettersi, imbarcarsi in una nuova campagna elettorale e andare una volta per tutte alla resa dei conti. Oppure ci si può serenamente mettere d’accordo. Non si chiama inciucio, non si chiama poltronificio, ma si chiama compromesso. Quel compromesso che nella storia è sempre intervenuto nei momenti più critici e che di certo non è una parolaccia.

Del resto, è la stessa legge a prevederlo e consentirlo: il rischio del voto disgiunto era proprio questo, un rischio che i Comuni accettano di correre e con cui, se si dovesse concretizzare, fare i conti. Pensateci bene: un’amministrazione di scopo, equilibrata, pacata e garbata, senza toni forti e senza sterili polemiche, potrebbe persino portare giovamento a una città che – come detto – di ordinario non ha proprio nulla.

Certo, ogni scelta presuppone coraggio: ma è proprio per questo che i cittadini scelgono i loro rappresentati, per assumere decisioni coraggiose. Lo scarica barile della responsabilità, ormai uso comune tipicamente italico, dà solo sui nervi. Ci vuole coraggio per dimettersi, ci vuole coraggio per consegnare una fascia tricolore, ci vuole coraggio per mettersi intorno a un tavolo e ragionare insieme.

Ma vi prego, non lasciate ancora questa città abbandonata al suo destino. Non lo merita nessuno, nonostante le nostre straordinarie contraddizioni.