Uccide i vicini per il parcheggio, le motivazioni della sentenza: ‘La strage di Cursi premeditata da due anni’


Condividi su

“Il proposito di commettere il delitto era maturato già due anni prima della commissione dello stesso”. È uno dei passaggi chiave della sentenza sulla strage di Cursi, a firma del gup Simona Panzera.

Il giudice sottolinea quest’aspetto, su ammissione dello stesso Roberto Pappadà in sede di interrogatorio,  per rimarcare la premeditazione in questo efferato triplice omicidio. E aggiunge, come ci sia stato “Un lasso di tempo, tra l’insorgenza del disegno criminoso e la sua attuazione, apprezzabile, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso, che poi non è avvenuta”.

E poi c’è l’aggravante dei futili ed abietti motivi, per “l’enorme sproporzione tra movente ed azione delittuosa, rivelatrice di un istinto criminale perverso che genera un profondo senso di ripugnanza e disprezzo in ogni persona di moralità media”.

Inoltre non può esserci, secondo il giudice, il riconoscimento dell’attenuante generica di aver agito su “provocazione o stato d’ira”. Quest’aspetto avrebbe dovuto avere come presupposto, il “fatto ingiusto altrui” in quanto non può considerarsi tale, “l’occupazione da parte delle vittime del parcheggio in prossimità dell’abitazione dell’imputato, di pubblico utilizzo”.

E continua il gup, “né risulta che egli abbia mai chiesto un provvedimento amministrativo in forza del quale venisse riservato un parcheggio per la sorella invalida civile”.

Nessuna attenuante, anche per “le modalità brutali dell’azione, idonea a cagionare altre potenziali vittime e la personalità del reo, evinta dall’assenza di freni inibitori nel porre in atto il gravissimo piano delittuoso”. Infine, il giudice sottolinea “il contegno processuale, scevro da qualsiasi forma di resipiscenza, come dimostrato dalle dichiarazioni rese in sede d’interrogatorio”.

Il processo

Roberto Pappadà è stato condannato al carcere a vita con la formula del rito abbreviato (consente lo sconto di pena di un terzo). L’imputato rispondeva di triplice omicidio aggravato dai futili motivi e dalla premeditazione, tentato omicidio e detenzione e porto di arma clandestina.

Il gup Simona Panzera ha disposto anche il risarcimento del danno, in separata sede.

Assistiti dall’avvocato Arcangelo Corvaglia, si sono costituiti parte civile: Fernanda Quarta, madre di Andrea Marti, la sorella Carla Marti e la convivente Simona Marrocco. Non solo, anche Fabrizio Leo, marito di Maria Assunta Quarta, (l’altra vittima), si è costituito parte civile con l’avvocato Marino Giausa.

Roberto Pappadà è invece difeso dall’avvocato Nicola Leo.

 La ricostruzione della follia

Il 28 settembre del 2018, le lancette dell’orologio avevano da poco segnato le 23.00, quando il 57enne di Cursi ha messo in scena il piano, uccidendo tre persone. Il primo a perdere la vita è stato Andrea Marti. Il 36enne stava rientrando nella sua casa con la fidanzata, quando a pochi passi dalla porta di ingresso ha trovato Pappadà, fermo davanti a lui con la pistola in mano.

Qualche minuto dopo, sono arrivati in macchina Franco Marti, freddato dal vicino, la moglie Fernanda Quarta (rimasta ferita), la sorella della donna Maria Assunta, uccisa da Pappadà e il marito (l’unico illeso).

È ancora un mistero il modo in cui il pluriomicida sia riuscito a procurarsi l’arma priva di matricola.

Le indagini sono state condotte dai carabinieri del Nucleo Operativo di Lecce, assieme ai colleghi del Norm di Maglie, e coordinate dal pm Donatina Buffelli.