‘Oronzo, Giusto e Fortunato erano uomini controcorrente, ma non confondete la speranza col sogno’, l’Arcivescovo accarezza Lecce

Abituati ai discorsi dei Pastori che sono soliti strigliare la comunità a cui si rivolgono, hanno destato commozione le parole di Michele Seccia che ha voluto tendere la sua mano verso tutti.

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Tanta attesa per il tradizionale discorso dell’Arcivescovo al termine della processione che parte e finisce a Piazza Duomo di Lecce. Un discorso tutto votato alla speranza, una speranza che non deve essere confusa con l’illusione e con la realizzazione di desideri. E l’attenzione va, soprattutto ai più bisognosi, alle persone che vivono le maggiori difficoltà.

Non il classico discorso che mette in guardia i fedeli e che mira a riportarli sulla retta via, ma parole d’amore e di speranza. Grande commozione anche per il pensiero rivolto agli uomini ed alle donne ‘schiavi’ del gioco d’azzardo e malati di ludopatia, in apertura del suo discorso. Insieme a loro anche tutte le persone sole e disperate perché schiacciate dal prestito ad usura. “Sono poveri che bussano alla nostra porta e che hanno bisogno del nostro aiuto. Come gli altri”.

In tempi di grandissima crisi e di sfiducia generale, verso le istituzioni, verso la politica, quello che serve è la speranza. ‘Nessuno di noi è più forte delle mafie, di chi lucra sulla pelle dei più disperati, della corruzione e della discriminazione. Nessuno di noi è più forte del dramma della Xylella che sta distruggendo le nostre campagne. Nessuno di noi è più forte dei vicini fiumi dell’Ilva e di Cerano che procurano malattie incurabili”.

Ma in questi tempi di crisi, la speranza è la via della salvezza, il restare uniti ed essere una comunità forte sono le vie indicare dall’Arcivescovo Michele Seccia in un discorso accorato che parla dritto alla pancia dei leccesi.



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