La vicenda non va discussa nel merito, ma nel metodo. Il tennista più forte del mondo che chiede di poter giocare la prima prova dell’anno del Grande Slam è un pugno in faccia a tutti coloro che hanno dovuto fare il vaccino per lavorare. È un insulto a quei genitori riluttanti che hanno dovuto scegliere tra la remota ipotesi di reazione avversa da vaccino e l’ipotesi molto meno remota di un pericoloso contagio da SARS Cov2.
E siccome anche chi scrive non ha fatto il vaccino a cuor leggero, ma solo perché convinto della necessità di doverlo fare e della credibilità delle autorità sanitarie che lo hanno suggerito, appare ancora più irritante l’atteggiamento di un grande uomo di sport.
Pensiamo ai campionati che in questi giorni vengono sospesi, alle partite di calcio che vengono rinviate, ebbene in cosa la scelta di Djokovic dovrebbe apparire esemplare, o la sua opzione plausibile?
Quanta gente, pensiamo a tanti Paesi africani, vorrebbe mettersi in fila per fare il vaccino, ma in quei Paesi i vaccini non ci sono? Quanti privilegi abbiamo perduto tutti, rimettendoci alle regole di convivenza civile, per mero senso di responsabilità?
La risposta è scontata. Qui gli smash, il lob e il serve & volley non hanno diritto di cittadinanza. Dinanzi alla pandemia siamo tutti principianti, e anche gli scienziati stanno imparando, giorno dopo giorno, e per esclusione, ciò che va fatto.
Non esiste l’esenzione caro Nole, niente vaccino, niente internazionali.
Hai sbagliato la prima, ma ti resta ancora la seconda di servizio… per salvare quanto meno la faccia e il nome leggendario che hai.
