Guerra in Ucraina, Don Gianni torna a casa con tre famiglie e con il dolore nel cuore

Dopo aver portato a Medyka gli aiuti raccolti grazie alla solidarietà della gente, Don Gianni, Paolo, Franco e Sandro tornano a casa con tre famiglie

Ventitré ore di viaggio. Un cammino lungo intrapreso con il desiderio di poter dare una speranza a chi ha perso tutto, a chi ha dovuto chiudere la porta di casa, sapendo che potrebbe essere l’ultima volta, a chi ha messo in valigia le cose essenziali ed è partito senza sapere dove andare, a chi ha cercato di mettersi in salvo, di allontanarsi dalle bombe, dalla guerra, dai missili, dalla violenza. Stanno tornando a casa Don Gianni Mattia, cappellano dell’Ospedale Vito Fazzi di Lecce e presidente dell’Associazione Cuore e mani aperte che, con Paolo, Franco e Sandro è partito per Medyka, in Polonia, diventata un campo profughi a cielo aperto, una stazione di passaggio o una tappa verso la libertà. Tornano a casa con il dolore negli occhi, dopo aver visto donne e bambini che, spaventati, cercano aiuto nei volti di sconosciuti.

«Sono diffidenti» racconta Don Gianni. E non è facile conquistare la loro fiducia dopo quello che hanno passato, dopo essersi svegliati con una guerra in corso, con i bombardamenti, con il coprifuoco, con le notizie sempre più drammatiche. Tre famiglie accettano quella mano tesa. Una si fermerà a Bari, l’altra a Brindisi. L’ultima – una famiglia con due gemellini – troverà riparo a Otranto. Lontano dall’Ucraina, da quella terra che si è risvegliata in un incubo. Dieci persone in tutto, di cui 5 bimbi e 5 adulti che cercando di nascondere la paura, il nervosismo per proteggere i più piccoli che nella loro innocenza non scalfita dalla cattiveria dei grandi non vedono l’ora di mangiare la pizza italiana.

«Il cuore batte a mille. I loro occhi non sorridono, anche i loro volti sono provati da stanchezza e dolore. Vorremmo diventare noi quell’abbraccio di pace e di amore che gli manca. Ci guardiamo negli occhi anche noi per darci e dare forza» racconta Don Gianni.

Il viaggio è lungo, segna tutti. Un viaggio della speranza, si chiama, ma è molto di più. La voglia di piangere dopo aver visto il campo profughi è tanta, ma non c’è spazio per altra sofferenza.

«Ci piacerebbe fare una foto con loro per ricordarci questo lungo viaggio, ma scegliamo di non farlo. Certi ricordi saranno scolpiti nel cuore e non in una foto. Una foto non può trasmettere le emozioni di chi ha visto la disperazione prendere volto e cuore di figli e mamme».

Don Gianni tornerà ad aiutare, ai confini dell’Ucraina, e la solidarietà come in questo caso non mancherà



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