
Sette mesi e mezzo, fino al «traguardo tassativo» del 28 maggio 2014. È questo il tempo concesso dall’Europa all’Italia per far fronte alla «scottante» questione del sovraffollamento carcerario. Non è facile affrontare un tema, tanto delicato quanto problematico, che presenta mille sfumature diverse. Siamo davvero sicuri che l’amnistia e l’indulto siano le strade giuste da percorrere? Oppure dovrebbero essere vagliate altre soluzioni per un problema che il nostro Paese si trova ad affrontare ancora come se fosse un’emergenza del tutto nuova? Va da sé che buon senso, e non qualunquismo, di fronte ad argomenti così forti, richiederebbe quantomeno proposte fattibili, concrete, dignitose per tutti.
È vero, innegabile, che molti detenuti siano colpevoli di crimini efferati che “meritano” di pagare il loro conto con la giustizia, anche se salato. Ma è altrettanto giusto che lo facciano in condizioni atroci, impensabili al limite dell’umanità? «Il grado di civiltà di una società si misura dalle sue prigioni» recitava Fëdor Dostoevskij in “Delitto e Castigo” ed è questo il punto. Nella nostra “Mater Lex”, il 3° comma dell’art. 27, in cui si legge che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato», dimostra come l’Italia possa essere considerato un Paese civile. Almeno sulla “carta”.
I numeri parlano da soli. Secondo il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria i detenuti nelle carceri italiane sono 64.758 nei 205 penitenziari italiani, ben 17mila in più rispetto alla capienza regolamentare delle nostre carceri, predisposte per accogliere 47.615 persone, secondo i dati diffusi dal dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, secondo le stime aggiornate al settembre scorso. Statistiche che spesso ci fanno dimenticare che dietro quei numeri ci sono persone.
A riguardo il Sappe, il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri ha diramato una nota in cui viene sottolineato «come stenti a decollare il decreto del Governo definito “svuota carceri”, convertito in legge lo scorso agosto dal Parlamento, almeno nella parte che ipotizzava l’uscita pressochè “certa e immediata” dai penitenziari italiani di migliaia di detenuti».
«La rilevazione mensile sull’affollamento delle carceri italiane contava 64.323 persone detenute lo scorso 31 ottobre, rispetto ai circa 38mila posti leggo regolamentari. Solamente 435 in meno rispetto alle presenze di un mese prima, il 30 settembre 2013, quando i detenuti in carcere erano 64.758. E da fine agosto a fine ottobre i detenuti in Italia sono calati per un numero complessivo di 512 unità, un dato assolutamente insignificante confrontato ai drammatici numeri del sovraffollamento attuale, che vede più di 26mila persone in cella rispetto ai posti letto regolamentari a tutto discapito delle condizioni lavorative dei poliziotti penitenziari», spiega il segretario generale del SAPPE Donato Capece.
«Non abbiamo i dati di quanti non sono entrati in carcere per effetto del decreto legge, che pure prevede che il magistrato possa disporre il ricorso ai domiciliari anziché la custodia cautelare in carcere per coloro che commettono reati con una pena prevista fino ai 4 anni, ma le uscite sono state assolutamente minime. Quasi il 40% dei detenuti è in attesa di un giudizio definitivo mentre i quasi 23mila detenuti stranieri in Italia rappresentano oltre il 35% della popolazione detenuta. Dati in controtendenza anche nelle regioni con la maggior concentrazione di detenuti: se il calo, ancorchè impercettibile, si registra in Lombardia (8.908 detenuti a fine ottobre rispetto ai 8.980 presenti a fine settembre), Campania (oggi 8.092, un mese fa 8.103), Lazio (7.100 oggi, 7.157 il 30 settembre), Piemonte (erano 4.869, ora sono 4.773) Emilia Romagna (3.767 rispetto ai 3.802) e Veneto (3.085 rispetto ai 3.158 di un mese fa), la Sicilia vede aumentare le presenze nelle celle regionali. Il 30 settembre avevamo nelle carceri regionali siciliane 6.987 detenuti che oggi sono saliti a 7.009».
«La situazione –conclude la nota- resta allarmante, anche se gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria garantiscono ordine e sicurezza pur a fronte di condizioni di lavoro particolarmente stressanti e gravose. Amnistia e indulto da soli non bastano: serve una riforma strutturale dell’esecuzione della pena, come pure ha sottolineato il Capo dello Stato Giorgio Napolitano nella sua lettera ai parlamentari di Camera e Senato lo scorso 8 ottobre sulla grave situazione penitenziaria del Paese».
Senza voler sminuire il principio in base a cui “chi sbaglia paga” non bisogna dimenticare il fatto che le carceri devono essere un luogo di rieducazione e riabilitazione sociale. Oltre che i detenuti sono persone. Che certo hanno sbagliato, ma che non possono e non devono perdere la dignità riconosciuta ad ogni essere umano.