Il Consiglio di Stato torna ad occuparsi dell’annosa questione della compatibilità dell’assetto nazionale delle concessioni balneari con l’ordinamento comunitario e lo fa con una sentenza che decide un caso salentino, relativo al diniego opposto dal Comune di Porto Cesareo a un operatore che aveva chiesto il rilascio di una concessione demaniale marittima ad uso turistico ricreativo.
I Giudici di Palazzo Spada, confermando la decisione di primo grado, hanno rigettato il ricorso d’appello dell’imprenditore privato, giudicando del tutto corretto il motivo ostativo rappresentato dalla necessità del preventivo ricorso ad una gara pubblica per l’assegnazione di qualsivoglia concessione in ossequio alla specifica previsione della legge regionale pugliese in materia e ai principi rivenienti dalle direttive comunitarie e dalle sentenze della Corte di Giustizia, con ciò condividendo le argomentazioni del difensore del Comune, l’Avvocato Antonio Quinto.
In particolare, la decisione evidenzia la necessità delle gare pubbliche anche nel settore dei beni del demanio marittimo e riafferma la diretta applicazione dell’art. 12 della direttiva 2006/123/Ce e dell’art. 49 del Trattato, con conseguente invalidità di qualsiasi normativa nazionale che preveda proroghe automatiche in assenza di procedure selettive tra i potenziali candidati.
A tal fine il Consiglio di Stato ha richiamato la sentenza della Corte di Giustizia europea del 2016 che con efficacia interpretativa e carattere vincolante ha affermato: “l’art. 12 della dir. 2006/123/CE (c.d. Bolkenstein) osta ad una misura nazionale che preveda l’automatica proroga del titolo concessorio, in assenza di qualsiasi procedura selettiva di valutazione degli operatori economici offerenti”.
“Il principio affermato dalla Sez. IV del Consiglio di Stato – ha commentato il legale leccese – assume una particolare valenza perché evidenzia l’applicabilità delle direttive europee in materia di concorrenza sia al rilascio delle nuove concessioni sia alle proroghe delle concessioni in essere, dichiarando espressamente che in tali fattispecie tutte le norme nazionali o regionale di segno contrario sono affette da invalidità. È in tale prospettiva che si pone, quindi, la loro disapplicazione per contrasto col diritto europeo. Principio, questo, reiteratamente sottolineato dalla Corte Costituzionale, dal Consiglio di Stato e dalla Cassazione penale”.
