Fino a quando non ha tolto la vita a Daniele De Santis e alla sua fidanzata Eleonora Manta dopo aver scritto su un foglio di carta quanto sarebbe dovuta durare la “vendetta” – un’ora e mezza comprese le torture, l’omicidio dei fidanzati la cui unica colpa è stata quella di essere felici e le pulizie necessarie a rendere ‘candida’ la scena del crimine – Antonio De Marco, lo studente di scienze infermieristiche che avrebbe confessato il delitto era un ragazzo anonimo, di quelli che passano inosservati o se li incontri te ne dimentichi.
Le persone ascoltate in questi giorni a Casarano, dove vive la famiglia e al Fazzi dove stava svolgendo il praticantato lo descrivono come taciturno, introverso, con pochi amici. Anche le sue conversazioni sui social, whatsapp compreso, sembrano essere laconiche. Di poche parole e con la faccia pulita. La stessa che probabilmente avrà convinto l’arbitro ad affittargli la stanza dell’appartamento di via Montello, più di un anno fa. Qualcosa dopo la convivenza si deve essere rotto anche se sembra che lo studente abbia lasciato casa un mese prima della data concordata. Giorni in cui ha pianificato l’omicidio, come dimostrano i cinque biglietti ritrovati dagli uomini in divisa con il crono programma dell’orrore.
Nel decreto di fermo si parla di torture, di «macabra ritualità», di assenza di pietà e umanità. Una crudeltà che non si addice ai lineamenti del 21enne che, il giorno dei funerali dei due ragazzi, quando le parole toccanti del parroco di Seclì e di mons. Michele Seccia venivano riportate da tutti i giornali, lui è andato ad una festa di compleanno con i colleghi dell’ospedale.
Chiuso, sulle sue, ma non bastano queste caratteristiche a fare un assassino. C’è qualcosa che ancora non è chiaro nel duplice omicidio dell’arbitro e della sua fidanzata. La speranza è che durante l’interrogatorio di convalida del fermo, Antonio De Marco sveli qualcosa in più dell’omicidio di Lecce, delle motivazioni che lo hanno spinto ad ammazzare Daniele e Eleonora.
