School River, il viaggio del prof. Alessandro Macchia* per Leccenews24.it nel mondo della scuola pubblica italiana, giunge alla conclusione con la sua decima e ultima puntata. Un viaggio a volte semiserio, a volte malinconico, a volte tremendamente realistico nelle aule in cui i nostri figli trascorrono un pezzo della loro giornata e una parte importante delle loro esistenze. Si conclude con un riflessione sui libri di testo. Soltanto una questione di peso negli zaini? Soltanto una questione di chili, come abbiamo visto in qualche altro articolo della nostra testata?. No, per Macchia è una questione di qualità e non di quantità. Su carta o in versione digitale che siano, i libri di testo della scuola pubblica italiana presentano più di qualche problema a cominciare dalla direzione che indicano agli studenti e che va in direzione diametralmente opposta rispetto alla fuga dal nozionismo che sbandieriamo come meta finale. Buona lettura e grazie al prof. Alessandro Macchia per averci mostrato l’altra faccia della medaglia con la passione che lo contraddistingue e l’amore per gli studenti che trabocca da ogni riflessione.
Sfortune e declino del libro di scuola
Il dibattito sui testi scolastici verte ordinariamente sui costi, sul problema del peso che grava sulle spalle dei ragazzi e sull’utilità della dematerializzazione resa possibile dai tablet. È del tutto fuori corso una pur minima riflessione sulla qualità di questi libri. Ma partiamo da un fatto inequivocabile. La crisi editoriale dell’ultimo ventennio non ha toccato, se non marginalmente, il mondo delle pubblicazioni per la scuola. Si tratta di un affare lucrosissimo, controllato da editori più sensibili allo sterco del diavolo che alle reali necessità formative di bambini e ragazzi. A dimostrazione sono i periodici ritocchi delle pagine, che rendono obsolete le edizioni immediatamente precedenti. Sono invero interventi che non apportano nulla di nuovo sul piano dei contenuti e delle strategie didattiche.
Il volume prende forma secondo un metodo ampiamente diffuso fra gli autori di questo fortunato settore: il taglia e incolla. Spesso è la stessa prima edizione che si costituisce sulla base di brani trafugati da altri manuali più o meno vecchi. Resta inteso che in questo caso non vale il noto detto eliotiano che i piccoli autori inventano e i grandi autori rubano. Per costituzione di genere i libri maggiormente soggetti a queste operazioni truffaldine sono quelli di Grammatica e di Matematica. La costruzione del libro per formule ed esercizi vi si presta in maniera ideale. Ma fra i testi che maggiormente soffrono di scadimento nei contenuti vi sono quelli di Geografia delle secondarie di primo grado.
Un confronto con i volumi dello stesso grado di istruzione di trenta o quaranta anni fa evidenzierà una palpabile ipersemplificazione nell’esposizione degli argomenti e un seguito di gelide schematizzazioni. La lotta così tanto decantata al nozionismo si scontra con l’adozione di strumenti bibliografici che implicitamente guidano all’inutile memorizzazione di dati e cifre. Un qualsiasi libro di Geografia, che tratti le regioni italiane o gli Stati d’Europa, è costruito come una sequenza di pochi paragrafi di poche righe che trasmettono poche informazioni sulle vie di comunicazione, sul clima, sull’economia. Alla fine, da cotanta accozzaglia l’unico elemento certo di orientamento rimarrà la barbabietola da zucchero, che sembra, a dire di questi compilatori di libri, attecchisca in ogni luogo del pianeta. Sempre per soffermarci sui testi di Geografia, rileviamo l’incontrollato proliferare di fotografie di edizione in edizione, come se gli alunni non fossero già fin troppo sopraffatti dal quotidiano bombardamento di immagini e come se si possa davvero confidare nell’illustrazione prevalente per acchiappare l’interesse del piccolo lettore.
La verità dei fatti è che gli autori di libri di Geografia per la scuola non hanno un pensiero didattico soddisfacente per una disciplina così ricca, bella e complessa. È forse l’esito della sottovalutazione della materia da parte di quei riformatori ministeriali che l’hanno ridotta a un’ora di insegnamento alla settimana? Ma non meno drammatica è la situazione dei libri di Storia. Sopravvive ancora (ed è prova aggiunta del far libri copiando altri libri) una fortissima tensione a favore di un’interpretazione a senso unico dei fatti storiografici. Per muovere solo un esempio, quale libro di scuola accenna alle responsabilità dell’Inghilterra e della Francia nello scoppio della Grande Guerra? Molti di questi manuali sono peraltro tesi per lo più al racconto dei fatti di vita sociale a detrimento degli eventi politici. Il modello strettamente divulgativo è attecchito oramai anche nella scuola. Resta vivo, almeno per quanto attiene la Storia e la Letteratura, il rischio che il libro sia uno strumento di indottrinamento ideologico.
Del resto, già si profilano all’orizzonte pagine di scuola che danno una versione univoca sulle problematiche del gender e del covid. Nel complesso sarebbe opportuno concepire per ogni istituto una squadra di genitori culturalmente adeguati che in aperto confronto coi docenti discuta sui libri effettivamente più consoni all’educazione dei ragazzi. Sarebbe fin da subito, lo sappiamo, una proposta impopolare fra gli insegnanti, ma dobbiamo rilevare che non sempre gli stessi docenti sono davvero in grado di discernere sulla validità dei libri sul piano della correttezza dei contenuti. Ricordiamo, per dirla tutta, di qualche libro di Educazione Musicale che inquadra Mozart e Beethoven come compositori romantici. Inoltre, spesso i docenti avanzano proposte di adozione sulla base di pressioni o di simpatie personali verso il rappresentante editoriale di turno. Con tutto questo, il panorama italiano è deficitario della stessa figura del recensore professionista di libri di scuola.
Restano aperte alcune domande. Perché i libri di scuola allontanano dallo studio e dalla lettura, in controtendenza con quelli che di scuola non sono? Come mai il profumo delle pagine dei libri di scuola svanisce con la rapidità della vita di un’effimera? E poi, che cosa resta alla fine degli autori dei libri di scuola? Come recitava Edgar Lee Masters nell’Antologia di Spoon River, tutti tutti dormono sulla collina. Però, glielo riconosciamo, hanno fatto un sacco di quattrini.

Le puntate precedenti
Dopo aver messo al centro della sua particolare lente di ingrandimento nella prima puntata la figura del dirigente scolastico, Alessandro Macchia si è soffermato per 4 puntate su quella del docente ‘inquadrato’ sia dal punto di vista delle relazioni con i colleghi che nei rapporti con gli alunni e successivamente anche nell’esercizio della nobile arte della correzione prima e della valutazione poi. Nel sesto appuntamento con i lettori ecco la volta del doposcuolista, ‘l’uomo o la donna delle ripetizioni’, la materializzazione plastica della sconfitta della scuola pubblica italiana visto che le lacune andrebbero colmate a scuola. La settima puntata è tutta una ricerca, la ricerca dell’entusiasmo perduto. Dell’entusiasmo dei docenti ad insegnare, dell’entusiasmo degli alunni ad imparare. Dov’è finita quella energia che anima uno scambio vitale che è alla base del futuro? La puntata numero 8 è un affresco sulla ‘classe’, quel luogo magico in cui i nostri figli passano le ore più belle e più difficili della loro giovane vita, in cerca di qualcosa che dia luce a ciò che hanno dentro. Nella puntata numero 9 una bella riflessione sul braccio di ferro tra saperi funzionali e formazione che si sforza a rivolgere tutte le sue energie sulla crescita morale di ogni individuo, soprattutto dei più piccoli, anzi a cominciare dai più piccoli.
*Le considerazioni sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.