La figura del ‘preside’ tra miseria e… mobilità. Parte ‘School River’, viaggio tra i difetti della scuola

Comincia con la figura del dirigente scolastico la rubrica ‘School River’ a cura del Prof. Alessandro Macchia. 10 appuntamenti che affrontano le criticità, i nei, le problematiche della scuola pubblica ‘…quando un anno scolastico non è ancora finito e il prossimo non è ancora cominciato’.

Ha inizio oggi la rubrica ‘School River’. 10 appuntamenti a cura del Prof. Alessandro Macchia* che affrontano le criticità, i nei, le problematiche della scuola pubblica ‘…quando un anno scolastico non è ancora finito e il prossimo non è ancora cominciato’. Macchia già dal titolo “Miseria e Mobilità” fa il verso all’Antologia di Spoon River, agli epitaffi lasciati a mo’ di storia pubblica nel cimitero di un piccolo paese nato dalla fantasia di Edgar Lee Master. Non siamo qui davanti a messaggi funebri, piuttosto a storie che vogliono essere stimoli. Perché cambiare il corso delle cose si può, cambiare il corso delle cose si deve. 10 affreschi, dunque, su 10 figure strategiche della scuola pubblica. Cominciamo dal vertice, allora. Cominciamo dal Dirigente scolastico…

Miseria e mobilità

Magnanimità è parola oramai caduta in disgrazia. Magnanima, come dice l’etimo, è la persona d’animo grande e nobile. Magnanimi dovrebbero essere uomini e donne che rivestono ruoli di rilievo in seno alla società. La magnanimità dovrebbe contraddistinguere fra gli altri i dirigenti scolastici. E dunque vogliamo aprire esattamente con una messa a fuoco sulla figura apicale della scuola la nostra inchiesta sulle dinamiche sommerse di questo universo: con tanta maggior ragione perché qui sembra spesso caduta in disgrazia anche la disposizione alla grandezza d’animo.

Non intendiamo spandere facili e inopportune generalizzazioni, ma talvolta una minima parte costituisce un danno gravissimo all’immagine di un’intera categoria professionale. E partiamo allora da un malinteso. Si assume in modo implicito e tacito che la scuola appartenga al dirigente in carica.

Si tratta di un travisamento che nasce proprio dai meccanismi di potere messi di frequente in atto dagli stessi, ma con il conforto di una continuità direttiva esorbitante concessa dalla legge. È fuor di dubbio anzitutto che l’avvicendamento alla guida della scuola porterebbe a una gestione più pulita e corretta degli stessi aspetti finanziari, altrimenti esposti a fenomeni corruttivi e ai più svariati illeciti. E non è poca cosa: specialmente nei casi in cui il dirigente sia incline a circondarsi di persone di dubbia etica o sensibili a strumentalizzazioni. Del resto, come tradizione insegna, è virtù dei valorosi attorniarsi di collaboratori di alto profilo umano e scostarsi dai pessimi consiglieri.

Detto ciò, val la pena ricordare quanto di più lapalissiano: la scuola appartiene al dirigente negli stessissimi limiti e termini in cui appartiene all’insegnante, al collaboratore scolastico, all’addetto di segreteria e persino allo scolaro. Non sarà mai superfluo ricordare che parliamo di un’amministrazione pubblica, per buona sorte non ancora soggetta a forme di organizzazione e controllo non democratiche. Insomma, il dirigente dirige, ma gli altri non sono dei dirigibili nel cielo dei venti personalistici e delle private tempeste umorali.

Accade talvolta, infatti, che all’interno della scuola, e per le più varie ragioni, il dirigente entri in conflitto con altre individue professionalità e assuma posizioni di contrasto tese a forme di mobbing verticale. Nei casi più frequenti, tuttavia, le dinamiche messe in atto sono riconducibili allo straining. A differenza del mobbing, lo straining (così definito per la prima volta dallo psicologo Harald Ege, dell’Università delle Marche) si svincola da una continuità vessatoria e si concretizza in azioni circoscritte e informate di trattamenti iniqui e discriminanti.

Come ha ribadito recentemente in un convegno l’avvocato Fernando Caracuta del Foro di Lecce, fra i massimi esperti in Italia riguardo a questa tipologia di reati, lo straining è configurabile quando vi siano «comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente anche se manchi la pluralità di azioni vessatorie.» Or bene, fra quelle messe in atto dai dirigenti v’è in primo luogo la dequalificazione attraverso interventi che minano senza plausibile ragione la continuità didattica.

Questo avviene soprattutto nelle scuole dove sono invalse forme classiste di distribuzione degli alunni: lì dove esistono classi di serie A e classi di serie B (talvolta anche di serie C), il dirigente ha buon gioco ad assegnare le classi meno scolarizzate al docente da punire. In altro modo, la condotta vessatoria sarà volta a spezzare la cattedra fra innumerevoli rivoli, ma ci è dato sapere anche di docenti di eccezionale profilo didattico e di grande esperienza recentemente dequalificati attraverso la diffusa messa a disposizione per supplenze. Questo preciso tipo di azione appartiene ai canoni esatti dello straining.

Altre condotte, tendenzialmente meno appariscenti e più facili da mascherare con giustificazioni di ordine organizzativo interno, confluiscono nell’articolazione parzialissima dell’orario scolastico quotidiano, con una pressoché messianica moltiplicazione delle cosiddette ore buche per il malcapitato. Non sono neppure infrequenti intimidazioni o interventi tesi a isolare la persona dal resto dell’ambiente scolastico: nei casi più gravi siamo avvertiti di iniziative del dirigente in persona volte a screditare il docente all’attenzione degli alunni.

Un’arma delle più spregevoli è quella della delazione: si incaricano colleghi o collaboratori scolastici a osservare continuativamente la vittima per coglierla in fallo. Va da sé che per irresponsabilità di quest’ultima natura da parte del dirigente, la condotta discriminante o vessatoria passi quasi per inerzia dal piano verticale a quello orizzontale. Ne conseguono, per la vittima, gravi motivi di stress psicofisico che, fra le tante cose, compromettono la serenità dell’azione didattica. Il dirigente, così facendo, è dimentico della delicatezza del compito quotidianamente svolto dal docente. A fronte di questo, come soluzione non parrebbe esserci altro che la richiesta di mobilità. Talvolta, nei casi di maggiore impudenza, l’invito a cambiare scuola parte dal dirigente. Vige una condizione di tale rassegnazione a questi fenomeni di straining che, quando si verificano, gli stessi più stretti colleghi della vittima sono propensi a consigliare le valigie. La risposta più saggia resta la denuncia e la resistenza: quest’ultima resa forte dalla consapevolezza che, come abbiamo già detto, la scuola è del dirigente tanto quanto lo è di tutte le altre figure che la abitano. Ma esiste un modo anche solo empirico per annusare l’onestà e la dirittura morale di un dirigente, ovvero la rettitudine nella gestione del personale scolastico? Esiste.

È verificabile attraverso la valutazione della percentuale annuale di fuga del personale docente e amministrativo da quel preciso istituto. Se anno dopo anno la percentuale è costantemente alta sarà più facile imbattersi in una figura di discutibili qualità umane: preso atto che dietro al ruolo del dirigente v’è un uomo o una donna, non sarà improbabile che la propensione all’alterigia, alla prepotenza, alla vendetta, a miseri e miserevoli dispetti, ancor più genericamente a espressioni narcisistiche, prendano il sopravvento sulla tutela dell’integrità dell’ufficio preposto. Tutt’altro insomma da un uomo o da una donna magnanimi. Dove non v’è esodo, il dirigente ha probabilmente davvero tutti gli attributi del custode e del tutore della serenità collettiva.

Il rispetto avrà i vantaggi dell’ammirazione e il potere non avrà bisogno di confidare nella paura.

*Le considerazioni sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.



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