La scuola italiana tra mito della tecnologia e analisi critica della realtà. School River #9

Nella puntata 9 di School River, Alessandro Macchia si chiede se la scuola deve procedere sull’implementazione dei saperi funzionali o debba piuttosto rivolgere tutte le sue energie su quella formazione che ha a cuore la crescita morale di ogni individuo.

Arriva all’indomani dell’esito elettorale la puntata numero 9 di School River, il viaggio del prof. Alessandro Macchia* nella scuola italiana, un viaggio che scorre tra corpi e anime, eccellenze e inefficenze, virtù e vizi del sistema dell’istruzione pubblica. Una fortuita coincidenza o il deterministico fluire del caso? Chissà. Certamente la politica, tutta la politica, quella che ad ogni stormir di maggioranza si getta a capofitto in riforme annunciate come epocali e che sempre vengono rigettate dal corpo su cui dovrebbero innestarsi, farebbe bene ad ascoltare. E a fare l’esercizio di orientamento che viene richiesto. Macchia oggi si chiede se la scuola deve procedere sull’implementazione dei saperi funzionali (quelli che dovrebbero essere immediatamente spendibili all’uscita del percorso di studi) o debba piuttosto rivolgere tutte le sue energie su quella formazione che ha a cuore la crescita morale di ogni individuo. Quella formazione che non si piega ai paradigmi della competizione, che diventa spesso inutile rincorsa, ma punta a spostare il piano del sapere, a cambiare inquadratura, rivolgendo un fascio di luce sulla persona per illuminare il suo senso critico.

 Esercizi di orientamento

In aula una volta scoppiò l’inferno. Federico II era morto. Gli Angioini avevano invaso il Mezzogiorno. I siciliani avevano acceso i Vespri. In quell’occasione gli alunni si spaccarono bellicosamente in due gruppi: gli uni a parteggiare per i francesi, gli altri per gli Aragonesi. Fabio stava con Carlo d’Angiò perché il Papa aveva ragione di temere l’accerchiamento; Arianna era per Pietro III perché i francesi non dovevano mettere le mani addosso a una donna. Arianna non sopportava proprio le ingiustizie. Mirco tifava per gli Angioini. Ma lui era sempre dalla parte dei più forti. Solo Andrea continuava a esacerbarsi a prescindere per un’usurpazione, quella a danno degli Svevi. Ma Andrea era già un piccolo idealista. Chi fosse nel giusto solo Dio lo sa, ma ognuno di loro, quando sceglieva di parteggiare, faceva un esercizio etico: tentava di individuare dove fosse il bene e dove fosse il male.

È difficilissimo in altro modo apprendere la Storia a undici o dodici anni. Saltare da un’epoca all’altra, riannodare i fili di un discorso che si dispiega su uno spazio geografico illimitato e astrarre le azioni dell’uomo dalle virtù e dai vizi individuali, come se non fossero essi stessi a dare il pungolo all’azione politica, a infiammare gli egoismi sotto forma di machiavelliche necessità. Quando la lezione prende quel corso, sembra che il buon vecchio insegnamento della Storia voglia presentarsi come antidoto al riformismo scolastico bugiardo di destra e di sinistra.

Lo diciamo bugiardo perché, se bugiardo non fosse, metterebbe sul banco l’unico vero e pertinente dilemma: la scuola deve inseguire a testa bassa la modernità oppure deve ergersi a strumento per correggere, controllare, incanalare l’attuale rivoluzione antropologica in un alveo maturo, anziché lasciarla ai capricci di questa sua intemperante e impertinente fanciullezza? I riformatori esulano, non si sa se in malafede o con effettiva incoscienza, dal porre il problema e, senza reali alternative, perseguono la logica della promozione tout court dei saperi funzionali, in vista di una società meramente competitiva, che poco ha a che vedere con la crescita morale dell’individuo. Le tre i (inglese, informatica, impresa) sono passate di moda in quanto slogan politico, ma perdurano come radice fondativa di una scuola che si vuole rispecchiata a tutti i costi nel mito tecnologico.

Crediamo invece che la scuola debba assolvere a quell’altro compito. A tal fine, la memoria storica, la ciceroniana nuntia vetustatis, resta una straordinaria risorsa, se non la migliore alternativa, per via delle intrinseche proprietà di “canalizzazione” etica, che tradizionalmente la apparentano altresì all’educazione civica. Vorremmo dunque che il moltiplicarsi dei saperi funzionali avesse quantomeno il correlato di una rivalorizzazione di quelle discipline che incidono sui meccanismi di analisi critica della realtà. Un primo efficace passo, per esempio, sarebbe quello di reintrodurre nella secondaria di primo grado, dopo anni e anni di assenza, il corso di storia greca e romana. Un secondo passo, nel merito dello stesso ciclo di studi, sarebbe quello di allacciare in maniera funzionale l’insegnamento della Storia a quello fin troppo dispersivo della Geografia: lo troveremmo sottilmente rivoluzionario, considerato che lo stesso atlante storico nella scuola italiana, da quarant’anni a questa parte almeno, non ha suscitato negli insegnanti un minimo di attenzione.

In tutto questo, e in altre parole, sarebbe opportuno tornare a domandare da che parte si sta e per quale motivo, di modo che, se si chiederà a Fabio, Arianna, Mirco e Andrea, se siano per i russi o per gli ucraini, essi possiederanno le ragioni per chiudere tacitamente e sconsolatamente il libro o per dire, con Clemente Rebora, che in fondo la Storia è solo un pozzo di merda. Sempre che si intenda la Storia diversamente dal banale accumulo di episodi ed eventi. Sempre che si voglia scrutare nell’animo di questi fanciulli attraverso le gesta maledette o benedette dei loro avi. Sempre che in aula, durante la lezione di Storia, si voglia per davvero scatenare l’inferno.

Le puntate precedenti

Dopo aver messo al centro della sua particolare lente di ingrandimento nella prima puntata la figura del dirigente scolastico,  Alessandro Macchia si è soffermato per 4 puntate su quella del docente ‘inquadrato’ sia dal punto di vista delle relazioni con i colleghi che nei rapporti con gli alunni e successivamente anche nell’esercizio della nobile arte della correzione  prima e della valutazione poi. Nel sesto appuntamento con i lettori ecco la volta del doposcuolista, ‘l’uomo o la donna delle ripetizioni’, la materializzazione plastica della sconfitta della scuola pubblica italiana visto che le lacune andrebbero colmate a scuola. La settima puntata è tutta una ricerca, la ricerca dell’entusiasmo perduto. Dell’entusiasmo dei docenti ad insegnare, dell’entusiasmo degli alunni ad imparare. Dov’è finita quella energia che anima uno scambio vitale che è alla base del futuro? La puntata numero 8 è un affresco sulla ‘classe’, quel luogo magico in cui i nostri figli passano le ore più belle e più difficili della loro giovane vita, in cerca di qualcosa che dia luce a ciò che hanno dentro.

*Le considerazioni sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.



In questo articolo: