Caffè e Alzheimer: nuove rivelazioni dall’Università di Bari

L’assunzione di caffè può influire sulla comparsa dell’Alzheimer. Questo è lo studio condotto dall’università degli Studi di Bari insieme all’ IRCCS San Giovanni Rotondo di Foggia e l’Istituto Superiore della Sanità di Roma.

Caldo o freddo, con latte o senza, zuccherato e non: tra mille varianti, il caffè si conferma bevanda celebre in tutto il mondo, uno degli “ingredienti” più diffusi all’interno della routine quotidiana. E proprio in virtù della sua diffusione, soprattutto nella tradizione italiana, recentemente si è rivelato un oggetto di prim’ordine per la ricerca sulla salute, mettendo in evidenza risultati interessanti in merito alla prevenzione di malattie mentali tuttora incurabili quali demenza ed Alzheimer.

L’Università degli Studi di Bari, insieme all’IRCCS San Giovanni Rotondo (Foggia) e all’Istituto Superiore di Sanità (Roma), ha dato il via alla propria ricerca valutando un campione di circa 1.445 persone tra i 65 anni e gli 84 anni, mettendo a nudo il rapporto tra il consumo di caffè e la manifestazione di MCI (mild cognitive impairment, ndr) ovvero deterioramento cognitivo lieve, quello che costituisce il primo segnale di allarme, prima dell’insorgenza di patologie mentali gravi.

Quello che è emerso dall’indagine, ha portato a delle interessanti rivelazioni in merito all’azione esercitata dalla caffeina nella prevenzione dell’Alzheimer.

I risultati hanno evidenziato infatti che l’assunzione di una quantità moderata-una tazza o due di caffè al giorno- aiuterebbe a prevenire l’insorgenza dell’MCI fino a 2 volte in piùrispetto a chi non ne assume affatto, o a chi ne beve una quantità notevole ma in maniera discontinua. I partecipanti al test che hanno bevuto caffè con frequenza altalenante, sarebbero stati soggetti non solo ad un’esposizione di rischio maggiore per il deterioramento cognitivo lieve ma avrebbero manifestato anche inclinazioni a disordini di natura ansiosa.

E quelli che non bevono caffè?
Sorprendentemente, la percentuale di esposizione a malattie mentali in questo caso è la più alta, persino di quella dei bevitori discontinui.

Lo studio condotto dai ricercatori Vincenzo Solfrizzi e Francesco Panza dell’Università degli Studi di Bari pertanto, mostra come una buona tazza di caffè sia in grado di diminuire la perdita delle facoltà cognitive, a differenza di quanto riscontrato studiando invece gli effetti delle bevande gassate. Un punto in più per chi non riuscirebbe ad iniziare la giornata senza il borbottio rassicurante di una buona Moka, ma soprattutto un punto in più verso la comprensione e la lotta all’Alzheimer e alle altre patologie analoghe.

Pier Mucciolo



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