Serve una colonscopia ma l’appuntamento è a marzo 2020. Liste d’attesa lunghissime in provincia

Al cittadino leccese l’appuntamento non è stato concesso prima della prossima primavera. A denunciare il caso è lo “Sportello dei Diritti”.

Liste d’attesa interminabili e rischi per la salute. È quello a cui va incontro un signore leccese che, in lista d’attesa per una colonscopia, ha ricevuto il primo appuntamento disponibile per il 24 marzo 2020, ad un anno di distanza. A denunciare ancora un altro caso di code interminabili per la sanità pubblica è Giovanni D’Agata, presidente dello Sportello dei Diritti.

Il cittadino salentino si era recato per chiedere un appuntamento presso l’azienda ospedaliera leccese e, a quanto pare, non potrà essere urgente. Sulla ricevuta di prenotazione il primo giorno libero è per la prossima primavera, al Poliambulatorio di Campi Salentina. Non è un fatto nuovo per l’azienda ospedaliera locale, ma “qualcosa che si continua a ripetere e che riapre ancora una volta la delicatissima questione delle lunghe liste d’attesa nelle strutture sanitarie della provincia di Lecce, anche per esami che potrebbero riguardare la sopravvivenza del paziente”.

L’ennesimo caso che rischierebbe di prefigurarsi come mancato diritto all’accesso alla salute, secondo Giovanni D’Agata. Il caso specifico non è che uno dei tanti problemi, già noti, legati alle liste d’attesa. Una diagnosi celere non può aspettare un anno per avere dei risultati.

La richiesta dello “Sportello dei Diritti”

L’istituzione di un tavolo tecnico è al centro della proposta dello Sportello. Sarebbe necessario che al tavolo partecipassero i direttori di Asl e aziende ospedaliere, i rappresentanti dei medici di famiglia, degli specialisti, dell’Ordine dei medici, delle associazioni dei consumatori e dei pazienti con l’obiettivo di organizzare percorsi condivisi che garantiscano l’abbattimento delle liste d’attesa nel più breve tempo possibile. I tempi interminabili di accesso alla sanità pubblica non dovrebbero costringere i cittadini a ricorrere a strutture private.

La foto dell’articolo è tratta da www.unadonnasana.it



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