‘Silletti non è il bersaglio: il vero fronte della sfida xylella è in Europa’. L’opinione dei ricercatori del LAIR

L’ermergenza Xyella si combatte anche sul piano giuridico. E così arriva in documento a firma del gruppo dei ricercatori dell’Unisalento del Lair. Massimo Monteduro, docente di diritto Amministrativo, illustra il documento: ‘Il problema e la soluzione è la stessa Unione Europea’.

Ce la sta mettendo tutta il territorio salentino nella lotta alla Xylella fastidiosa che da anni, ma soprattutto negli ultimi mesi, sta mettendo a dura prova l’economia, l’ambiente e la pazienza di tutto il Salento. La Puglia infatti, con i suoi 60 milioni di alberi di ulivo, sta facendo i conti con una delle emergenze più acute che si siano mai viste. Ecco perché cittadini, agricoltori, istituzioni, scienziati e studiosi stanno tentando in tutti i modi di far fronte comune contro il batterio.

È il caso dei ricercatori del gruppo LAIR (sigla per “Law and Agroecology – Ius et Rus”, in italiano Diritto e Agroecologia), nato nel 2012 grazie a un progetto finanziato con i fondi del 5 per mille all’Università del Salento, che da anni destina queste risorse al sostegno delle idee innovative dei suoi giovani ricercatori. Il LAIR, coinvolgendo studiosi di numerose discipline, ha puntato la sua attenzione sul campo di ricerca dell’Agroecologia. Di cosa si tratta? È un’area di congiunzione tra agronomia ed ecologia il cui intento è quello di coniugare i cicli produttivi agrari con i principi dei sistemi ecologici. Ma non solo. Perché l’agroecologia, legando strettamente agricoltura, ambiente e alimentazione, include in sé anche il punto di vista di altre scienze come l’economia, la storia, la sociologia, la geografia e la filosofia dell’ambiente. A questa dimensione transdisciplinare, però, è rimasto estraneo il mondo del diritto. L’esperimento del LAIR, quindi, è stato quello di provare a coniugare la sfera giuridica all’agroecologia. Il gruppo di ricercatori è composto dai professori Massimo Monteduro, Marco Brocca, Michele Troisi (che si sono avvicendati come coordinatori del team negli anni dal 2012 al 2015), Pierangelo Buongiorno, Antonello Denuzzo, Saverio Di Benedetto, Alessandro Isoni, Serenella Luchena, Maurizia Pierri e Sara Tommasi, e da giovani studiosi tra i quali Giuseppina Buia, Antonio Gusmai, Roberto Greco, Dalila Quarta, Virginia Tascagni e Federica Stradiotti.

Il gruppo LAIR negli anni ha dato vita a numerosi convegni internazionali, e nel maggio 2015 ha pubblicato in lingua inglese, con la prestigiosa casa editrice Springer, il primo libro al mondo dedicato specificamente al rapporto tra diritto e agroecologia. La crescita del gruppo ha portato i ricercatori anche all’Expo di Milano, dove hanno discusso sul tema della diversità alimentare. Ora però si impone l’emergenza Xylella, un tema che il LAIR ha deciso di affrontare con uno studio articolato, sfociato in un Documento di ricerca messo gratuitamente a disposizione del pubblico (“open access”, e che trovate qui in allegato)).

LecceNews24.it ne ha parlato con il Prof. Massimo Monteduro a poche ore dalla presentazione ufficiale del Documento, avvenuta in un incontro pubblico svoltosi a Torchiarolo alla presenza di numerosi Sindaci e con una grande partecipazione popolare.

Professor Monteduro, da dove è nata l’esigenza di occuparsi di Xylella?
“Soprattutto negli ultimi mesi il problema è divenuto dramma. Inizialmente gli interventi previsti giungevano fino all’abbattimento degli alberi infetti o con sintomi di infezione, ma nel maggio del 2015 una nuova Decisione di Esecuzione (la n. 789) adottata dalla Commissione Europea ha disposto che nella zona esterna limitrofa alla Provincia di Lecce venissero distrutti non solo gli esemplari infetti o con sintomi di infezione, ma anche quelli non infetti e senza sintomi (ossia apparentemente sani) per il semplice fatto di essere in un raggio di 100 metri da un ulivo infetto. Il nostro lavoro è iniziato grazie alla collaborazione nata spontaneamente con uno dei maggiori esperti del problema Xylella, il Prof. Luigi De Bellis, Ordinario di Fisiologia Vegetale nella nostra Università. Abbiamo ritenuto giusto mettere il nostro lavoro a disposizione, in maniera gratuita, delle comunità locali interessate. In particolare è stato il Comune di Torchiarolo, fortemente colpito dal problema, a fare appello alla comunità scientifica locale chiedendo di creare sinergie. Non a caso il nostro documento è ora pubblicato, tra l’altro, sul sito del Comune di Torchiarolo: chiunque può liberamente leggerlo”.

Qual è stato l’intento che ha mosso il vostro lavoro?
“Partiamo da un presupposto scontato, ma che è sempre bene ribadire: nessuno è portatore di verità assolute, né giuridiche né scientifiche, in particolare in una vicenda complessa come questa.  Il nostro operato, fondato su continui confronti, ha seguito i metodi rigorosi e l’approccio indipendente, non pregiudizialmente schierato, proprio della ricerca universitaria. Nel febbraio 2015 il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza e nominato un commissario straordinario delegato. Come è noto, è stato scelto il generale Dott. Silletti, il quale ha adottato, finora, due piani. L’ultimo, del 30 settembre 2015, è il più discusso proprio perché deriva dalla Decisione della Commissione Europea di maggio”.

Quindi professore, su cosa vi siete concentrati?
“Vi è una diffusa tendenza ad identificare come principale se non unico bersaglio (delle critiche, delle contestazioni, delle impugnazioni) il piano Silletti. È vero che, dal punto di vista processuale, si tratta dell’atto che concretizza la lesione per i soggetti colpiti dall’ordine di abbattimento degli ulivi. Tuttavia, occorre fare attenzione a non confondere le conseguenze con le cause, altrimenti si  rischia di colpire i bersagli sbagliati. Ciò che sfugge è che la vera fonte dell’obbligo di distruggere tutti gli ulivi non infetti nel raggio di 100 metri da quelli infetti si trova in Europa: l’atto-madre di questo obbligo, infatti, è la Decisione di esecuzione della Commissione europea di maggio. Se il commissario delegato non dovesse adempiere, trattandosi di un obbligo stabilito in un atto europeo,  l’Italia paradossalmente rischierebbe una procedura di infrazione comunitaria. Tutto ciò significa che si debba subire passivamente questo obbligo imposto dall’Europa, alzando semplicemente le mani? No. Significa che la vera sfida è quella di capire se, e in che modo, la Decisione della Commissione europea possa essere messa in discussione proprio in Europa, portando la questione davanti ai giudici europei (in particolare, alla Corte di Giustizia UE).

Ci siete riusciti?
“Nel nostro studio sono emersi molti aspetti che ci fanno seriamente dubitare della legittimità, rispetto allo stesso diritto europeo, della Decisione di esecuzione della Commissione. Faccio solo due esempi. La Decisione di esecuzione è denominata così (“di esecuzione”) perché deve limitarsi ad eseguire un atto di base ad essa superiore. Eseguire significa che essa non può né violare, né modificare, né integrare l’atto di base. Nel nostro caso l’atto di base è la Direttiva CE n. 29 del 2000, che contrasta il diffondersi di epidemie causate da organismi patogeni nocivi ai vegetali. Tuttavia la Direttiva del 2000 non prevede che si distruggano piante senza alcun sintomo di infezione. Quindi la Decisione della Commissione è andata oltre l’atto di base: questo non doveva avvenire. C’è poi un problema di proporzionalità: non solo la misura dei 100 metri è troppo drastica, ma potrebbe non essere neppure idonea a raggiungere il suo scopo”.

Si spieghi meglio…
“La commissione ha agito sulla base di pareri scientifici forniti dall’EFSA (che è un’autorità europea), la quale ha precisato che l’insetto vettore (la sputacchina) vola con le sue forze, autonomamente, fino a 100 metri”.

Quindi, professore, la Decisione della Commissione sui 100 metri non è del tutto sbagliata…
“Solo apparentemente. Perché gli stessi pareri dell’EFSA hanno precisato in maniera chiara che fattori naturali come il vento, o artificiali come i veicoli, possono trasportare l’insetto anche ben oltre 100 metri, rendendo praticamente impossibile stabilire quanto effettivamente la Xylella possa diffondersi. Se una misura non è idonea con elevata probabilità a raggiungere lo scopo, allora manca il presupposto stesso della proporzionalità. C’è dell’altro. Ad esempio, gli ulivi monumentali pugliesi, essendo plurisecolari, sono protetti dalla legge italiana come patrimonio culturale.”

Che cosa vuole dire?
“Semplicemente che gli ulivi monumentali non sono stati presi in considerazione dalla Commissione europea. Essi vengono distrutti esattamente come gli ulivi giovani, non monumentali. Tuttavia, questo lascia molto perplessi. Esaminando infatti altre Decisioni di esecuzione della Commissione europea adottate per patogeni diversi dalla Xylella, ci siamo accorti che la Commissione, in situazioni simili, ha concesso agli Stati la facoltà di esonerare determinati tipi di piante dall’abbattimento, caso per caso, soprattutto per il loro alto valore sociale, culturale o ambientale. Francamente non si comprende perché questa facoltà non sia stata concessa dalla Commissione per l’emergenza Xylella. Emerge qui una violazione del principio di parità di trattamento. È inoltre mancata la preventiva partecipazione del pubblico (enti locali, associazioni, etc.) alle scelte assunte prima dalla Commissione europea e poi dal commissario delegato. Il piano Silletti, secondo le conclusioni cui siamo giunti, non poteva ritenersi esonerato dalla Valutazione Ambientale Strategica (VAS), che garantisce il preventivo ascolto del pubblico.”

Insomma professore, di motivi ce ne sono tanti, ma chi li può contestare e come?
“Vari soggetti lesi a diverso titolo, come i proprietari; le associazioni ambientaliste; anche i comuni,  a nostro giudizio, poiché l’alterazione visibile del paesaggio ulivetato incide, ad esempio, sui flussi turistici e agrituristici rilevanti per il territorio salentino. La questione quindi può arrivare dal Salento in Europa, e lo strumento processuale esiste: si tratta del “rinvio pregiudiziale per l’esame di validità”.

In cosa consiste?
“Chi ritiene di essere leso da un atto nazionale “figlio” di una decisione comunitaria può impugnare l’atto nazionale dinanzi al TAR (nel caso Xylella, il TAR del Lazio), chiedendo al giudice italiano di porre una domanda  alla Corte di Giustizia circa la validità o meno della decisione comunitaria. Nel frattempo, il TAR può sospendere gli effetti dell’atto nazionale in attesa della risposta della Corte di Giustizia.”

Ma sarebbe impugnabile anche una sola parte dell’atto?
“Sì. Proprio questa, anzi, potrebbe essere una soluzione molto oculata. Quando si intraprende un processo, sta a chi propone il ricorso valutare con attenzione se, che cosa e in che misura impugnare. Il giudice si pronuncerà doverosamente su quanto richiesto. Impugnare il piano per intero comporta, in caso di vittoria, l’integrale demolizione del piano stesso e quindi un “vuoto temporaneo” di misure amministrative di contrasto, fino a quando non sopravverrà un nuovo piano. In questo scenario, se il contagio si diffonde rapidamente senza trovare alcun ostacolo, il rischio è quello di salvare le piante nel breve termine, ma di doverle poi sacrificare al batterio nel medio termine, senza aver debellato il contagio. Al contrario, è possibile scegliere di impugnare l’atto solo in alcune parti: per esempio, quelle più “dolorose” e al contempo più aggredibili giuridicamente, come la misura che prevede  l’estirpazione nel raggio di 100 metri. Il giudice, in questo caso, si troverebbe davanti a una scelta meno drastica: anche se il ricorso venisse accolto, il piano resterebbe “in piedi” per tutte le parti non annullate, senza creare alcun “vuoto”; tuttavia, verrebbe selettivamente eliminata la parte del piano non accettabile. In uno scenario del genere, per fare un esempio, si abbatterebbero solo gli esemplari realmente infetti o con sintomi di infezione, ma non le altre piante.”

Tiriamo le somme…
“Ciò che forse manca, nella sua pienezza, è un’autentica coscienza europea: dobbiamo sentirci cittadini europei e, di fronte ad emergenze come questa, lottare con passione civile affinché l’Europa non rappresenti solo il problema, ma diventi anche la soluzione. Questo richiede la capacità di  utilizzare, con cognizione di causa e determinazione, tutti gli strumenti di tutela che lo stesso ordinamento europeo ci offre. Si tratta di correggere l’Europa, quando adotta misure discutibili, attraverso l’Europa stessa, facendone emergere i principi giuridici fondanti. Quelli per cui, in fondo, abbiamo accettato di aderire all’Unione europea limitando una parte della nostra sovranità. Gli stessi principi che, proprio per questo, gli organi europei per primi non devono violare. Altrimenti il patto fondante si incrinerebbe”.

Una nuova strada quindi pare essere tracciata: i ricercatori dell’Università del Salento hanno dato il loro contributo, ora resta a tutti noi fare la nostra parte.



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