“La gente moriva senza darci nemmeno il tempo di capire perché…” La drammatica lettera di un medico salentino a Reggio Emilia

Roberto Caragnulo, un geriatra di San Donaci, ha voluto raccontare a Leccenews24 la drammatica esperienza che sta vivendo in un Ospedale di Reggio Emilia, nel pieno centro della pandemia da Covid-19.

Gentile Redazione di Leccenews24.it,

mi chiamo Roberto Caragnulo e sono un Geriatra operante presso l’Ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, nel pieno centro della pandemia da Covid-19.

Sono residente a Parma, ma provengo dal Salento e più precisamente da San Donaci in provincia di Brindisi.

Vi scrivo non perché voglio avere gli onori della cronaca, ma perchè vorrei condividere con voi questa terribile esperienza che sto affrontando, quella del Covid 19.  Se vi scrivo è perchè la mia famiglia vive in Puglia e, ogni giorno che passa, aumentano le preoccupazioni per quello che potrebbe accadere da voi.

Se me lo avessero raccontato non ci avrei mai creduto. Mi sono laureato e specializzato a Parma ed immediatamente dopo la specializzazione ho preso servizio come dirigente medico Geriatra presso l’ospedale Santa Maria Nuova-IRCCS di Reggio Emilia. Travolto da una gioia incontenibile mi sono messo subito al servizio dei miei pazienti perché finalmente potevo esercitare quello che per me è il lavoro più bello del mondo, un lavoro che ti permette di stringere rapporti unici con i pazienti che vanno oltre la semplice cura delle malattie.

Da Geriatra il malato lo devi conoscere nella sua globalità, intesa come globalità clinica e socio-assistenziale, perchè i nostri nonni, come spesso si sente dire, costituiscono gran parte della benzina che serve ad alimentare la nostra nazione. Quante famiglie senza i nonni non saprebbero come a fare a gestire i figli in questa società che va di corsa? Quindi curare un anziano significa curare la persona, risolvendo per quanto possibile la malattia e restituendola alla società nel migliore dei modi in termini funzionali.

Però a partire dalla metà di febbraio tutto è cambiato, un silenzioso, ma perfido killer in pochi mesi ci ha travolti come uno tsunami.

Abbiamo iniziato ad avere anziani ricoverati per questa strana forma di polmonite che poco rispondeva alle canoniche terapie e, nel giro di pochi giorni, il degente moriva senza averci dato nemmeno il tempo di capire il perché.

Abbiamo dovuto reinventarci, cercare di essere più veloci del virus, rincorrerlo, capire come si comportava e cercare di anticiparlo e trattarlo nel migliore dei modi possibili. Siamo ancora in corsa ed in tutta onestà, al momento, la stiamo perdendo.

Non voglio soffermarmi sull’aspetto clinico perché credo che ormai ogni ora di ogni singolo giorno i giornali e le TV con interviste a persone molto più autorevoli di me cercano di farvi capire cosa comporta questa malattia e quali danni possa provocare.

Cercherò di trasmettervi quella parte della malattia che noi operatori viviamo, ma soprattutto, che il malato con la sua famiglia vive. Ho aperto questa mia digressione dicendovi che da Geriatra noi curiamo il malato inteso come persona, persona che ha una malattia e che vive in un contesto familiare con il quale si condivide ogni scelta terapeutica. Bene, adesso tutto questo non esiste più.

Il Sars-Cov-2 ha trasformato i malati in malattia (Covid 19) rompendo, meglio distruggendo, qualsiasi legame che un medico possa instaurare col paziente, ma soprattutto distruggendo qualsiasi legame con i propri familiari. Familiari che adesso non sono solo i figli ma possono e sono purtroppo più spesso i genitori del paziente. Ebbene si! Il coronavirus ha cambiato anche tutte le dinamiche ospedaliere: non esiste più la Geriatria in quanto tale poiché, seppur l’anziano continui a rappresentare una grossa fetta dei ricoverati, ad oggi ricoveriamo anche giovani adulti e giovani più giovani (anche della mia età). Ci siamo dovuti reinventare, prima che Geriatra adesso sono un medico, ed insieme a tutti i miei colleghi combattiamo per una causa comune: sconfiggere il virus.

Cerchiamo di farlo in tutti i modi possibili, ma immaginate di farlo vestiti da astronauta, con delle protezioni opprimenti addosso che non ci permettono di riconoscerci nemmeno tra colleghi. Figurate cosa prova un malato quando vede noi arrivare: un completo senso di distacco.

Siamo stati già sconfitti in diverse battaglie: il virus ci ha isolato, il malato è considerato un untore, i legami con i familiari sono distrutti, e se muori, muori solo senza dignità.

Personalmente questo virus ha distrutto completamente la mia vita professionale e civile: a breve diventerò padre di un bimbo che nascerà senza avere accanto i suoi nonni, nonni per i quali sono in pensiero giorno e notte per il continuo evolvere della situazione nel meridione.

Il Covid 19 è in me 24/24: a lavoro, dove vivo la sofferenza del malato e la disperazione dei familiari quando comunichiamo loro il decesso a mezzo di un telefono; a casa, cercando di limitare al minimo i contatti con mia moglie sperando di non aver commesso errori in ospedale nell’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale; a distanza, con l’angoscia di sapere che questo terremoto possa colpire la terra dei mie genitori e parenti.

Vi prego di restare a casa. Abbiamo perso diverse battaglie, ma solo tutti uniti possiamo vincere la guerra.

Rinunciate a tutti i vostri vizi adesso, coltivate la vostra famiglia, abbiate in mente solo una cosa: la vostra salute e quella di chi vi sta accanto.

Un abbraccio a tutti, Roberto.



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