Danni cronici ai polmoni per i pazienti Covid? Il rischio c’è, lo dice la Società Italiana di Pneumologia

In media il recupero della funzionalità respiratoria di un paziente adulto avviene tra i 6 e i 12 mesi dalla guarigione. Ma lo studio della SIP avverte sulla possibile insorgenza di danni cronici

Il 30% dei pazienti guariti dal coronavirus potrebbe riscontrare danni cronici ai polmoni e alterazioni respiratorie. È lo scenario descritto nel convegno digitale della Società Italiana di Pneumologia (SIP), a margine del confronto operato tra i primi dati dei pazienti ex-covid raccolti in Italia e Cina con quelli raccolti dopo l’epidemia di SARS del 2003.

Come dimostra lo studio riportato dall’agenzia informativa AGI, dopo la contrazione del virus si potrebbe incorrere nella persistenza di alterazioni respiratorie, guaribili, in media, nell’arco di 6-12 mesi per i pazienti adulti. Ma gli strascichi delle polmoniti da coronavirus non è detto siano destinati a sparire, come accaduto per molti pazienti guariti dalla SARS. Il nemico numero uno potrebbe difatti diventare la fibrosi polmonare, e i guariti dal coronavirus potrebbero dunque fare i conti con l’alterazione permanente del tessuto respiratorio.

“Non abbiamo al momento dati certi sulle conseguenze a lungo termine da polmonite da Covid-19, è trascorso ancora troppo poco tempo dall’inizio dell’epidemia a Wuhan, dove tutto è cominciato. Tuttavia le prime osservazioni rispecchiano da vicino i risultati di studi di follow-up realizzati in Cina a seguito della polmonite da SARS del 2003, molto simile a quella da Covid-19, confermando il sospetto che anche Covid-19 possa comportare danni polmonari che non scompaiono alla risoluzione della polmonite”, spiega Luca Richeldi, membro del Comitato Tecnico e Scientifico, presidente della Società Italiana di Pneumologia (SIP) e Direttore del Dipartimento di Pneumologia, al Policlinico “Gemelli” di Roma.

I primi dati raccolti dagli studiosi sui pazienti dimessi testimoniano la presenza di evidenti difficoltà respiratorie. Situazione già vista con la SARS, quando, ricordano i ricercatori, il 30% dei pazienti guariti presentava segni di fibrosi polmonare, con l’insorgenza di problemi respiratori nelle attività routinarie. Gli studiosi precisano che il quadro dovrà essere delineato con ulteriori ricerche, ma i primi segnali sembrano condurre in questa direzione. Per questo nel convegno è stata sottolineata l’importanza di prevedere percorsi specifici di riabilitazione per i pazienti guariti.

“A Pavia un ambulatorio post-Covid, dedicato ai pazienti dimessi dalla Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, è già attivo dal 27 aprile scorso”, ha affermato Angelo Corsico, Direttore della Pneumologia della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo e Ordinario di Pneumologia all’Università di Pavia.

“I pazienti – continua Corsico – vengono sottoposti a esame radiografico del torace, prove di funzionalità respiratoria, test del cammino di 6 minuti, ecografia toracica e cardiaca e, se necessario, a TAC toracica per indagare la presenza di una pneumopatia interstiziale diffusa o di una embolia polmonare. I dati preliminari sembrano confermare le prime osservazioni cinesi su Covid-19: diversi pazienti dimessi, purtroppo, presentano ancora insufficienza respiratoria cronica, esiti fibrotici e bolle distrofiche. E’ quindi necessario seguirli con attenzione e soprattutto inserirli in adeguati programmi di riabilitazione polmonare”.



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