La morte di Julia Ituma, la pallavolista diciottenne precipitata dal sesto piano di un albergo, ci apre ferite profonde e riflessioni doverose. La questione, oltre ad attenere alla morte precoce e inaccettabile, riguarda, infatti, la dinamica dell’incidente stesso, che sembrerebbe confermare sempre di più l’ipotesi del suicidio, avvenuto in Turchia, mentre la diciottenne era in trasferta con la squadra del Novara.
Cosa spinge una ragazza così giovane e apparentemente serena a sottrarsi a questa Terra? È questa la domanda che ci si pone fra incredulità e sconcerto. Sono sempre di più, infatti, gli adolescenti che ricorrono a gesti estremi come ‘soluzione’ ad un dolore intenso e spesso non dichiarato. Nello specifico caso della pallavolista le stesse compagne affermano di non aver mai notato nulla che potesse far pensare ad un gesto simile ed esprimono sconforto nel non essere riuscite a comprendere il dolore di Julia e ‘dolore’ pare sia proprio la parola chiave, quel sentimento evidentemente cavernoso e insopportabile che provano moltissimi adolescenti.
Spesso la cronaca porta alla luce tragedie simili in cui giovani vite mettono fine alla loro esistenza per motivi apparentemente futili, come non superare un esame universitario, essere vittime di invidie e pregiudizi da parte dei coetanei o, come nel caso di Julia Ituma, perdere un partita di pallavolo. Soffermarci sulle cause appare, dunque, inutile e superficiale, perché dietro a questi gesti estremi non può che nascondersi un disagio molto più profondo.
L’adolescenza è, sicuramente, quella fase dell’esistenza estremamente incerta e delicata dove il dolore appare più denso e insopportabile rispetto alla vita adulta e, spesso, dietro i silenzi dei nostri ragazzi ma, soprattutto, dietro i sorrisi forzati si nascondono voragini fatte di incomprensione e disagio. Un’età, quella dell’adolescenza, che richiede osservazione e attenzione da parte della famiglia e della scuola, onde evitare tragedie simili, migliorando il dialogo e l’empatia.
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