Don Federico Andriani: Buonasera, Eccellenza!
Arcivescovo Michele: Buonasera.
Francesco Lioy: Eccellenza, buonasera.
Don Federico: Le presento Francesco, un maturando della III D del Liceo Classico e Musicale Giuseppe Palmieri di Lecce. Eccellenza, avremmo voluto chiedere di essere ricevuti, ma la situazione non lo consente. I ragazzi sono un po’ timorosi in questo frangente, soprattutto quelli che sono alla vigilia dell’Esame di Stato, che quest’anno sarà particolare. Così vorrebbero una parola di speranza e rivolgere qualche domanda al Vescovo di Lecce. Quando me lo hanno proposto, “perché no”, mi son detto, “il nostro Vescovo è sempre molto disponibile”. Ed eccoci qui, da schermo a schermo
Arcivescovo: Francesco allora, avanti.
Francesco: Visti questi tempi in cui tutto è in divenire e niente è sicuro, volevamo sentire la parola di qualcuno che ci avrebbe guidato.
A.: E voi, come state vivendo questo momento?
F.: È difficile spiegare. Diciamo che lo stiamo vivendo cercando di mantenerci comunque in contatto tra noi. Con la speranza di tornare alla normalità, sicuramente. E, rispettando le regole, stiamo cercando di accelerare questo processo, perché stare così lontani non fa per noi (ride, ndr).
A: E questo è vero! Va bene, allora, dimmi.
F: “Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta”. Così ha parlato Papa Francesco durante l’omelia nel momento della benedizione urbi et orbi. In che modo e con quale forza questo periodo nuovo porterà cambiamento nella vita spirituale degli italiani?
A: Quello che sto registrando e di cui mi sto rendendo conto è che la proibizione e la tutela da una parte, dall‘altra l’impossibilità di entrare in chiesa e trovare una comunità in preghiera sta risvegliando il senso di fede. E non è come per chi sta per annegare e cerca una fune o un pezzo di legno per salvarsi, no. In questo momento siamo portati a interrogarci profondamente sul senso della nostra vita. Perché la fede è una questione di senso della propria vita. La risposta ce l’abbiamo perché, il riferimento fondamentale è personale, non sono io come persona, ma colui al quale mi rivolgo è una persona. Ecco, allora, l’importanza del dialogo diretto, dell’esperienza della lectio divina, del vivere una pagina del Vangelo con la comunità. Ma oggi io la leggo senza avere nessuno di fronte. Proprio questa sera, sai che cosa ho proposto? È un anticipo anche di questa intervista: ho proposto la lavanda dei piedi: la pagina della lavanda dei piedi, del tradimento di Giuda e della ribellione di Pietro. Sono descritte le situazioni umane più concrete, perché nel momento della paura e del bisogno tutti ci rivolgiamo a Lui, ma anche come fa Pietro, passando dalla ribellione all’obbedienza. Ma quale obbedienza? Lasciarsi lavare i piedi da Gesù. Giuda, invece, si accontenta dei trenta denari. “Quanto mi volete dare perchè io ve lo consegni?” e l’evangelista sottolinea che il diavolo lo aveva messo in mente a Giuda e precisa anche che Giuda era abituato perché era il cassiere dei Dodici. Il cassiere dovrebbe essere la persona fidata. Immaginate un gruppo di amici che hanno un cassiere che, invece di impiegare il denaro, spende per conto suo i soldi. Ecco, Giuda, nel gruppo di Gesù, ha fatto questo. E arriva a dire: “trenta denari e io ve lo do”. E noi quante volte facciamo che questi trenta denari corrispondano a una scelta? Una scelta che magari ci sembra più conveniente, più interessante, più accattivante, la festa dei diciotto anni di un amico, per esempio, mentre sull’altro piatto della bilancia, dico cose semplici, c‘è l‘andare a far visita al nonno e alla nonna ammalati, o fare un servizio che papà o mamma ci hanno chiesto, o andare ad aiutare un amico. Ecco le scelte. Queste sono le scelte che il Signore ci invita a fare; infatti nel brano evangelico viene sottolineato proprio questo particolare: tutti accettano; solo Giuda e Pietro si ribellano. Giuda vuole andare per conto proprio e l’evangelista scrive: “Giuda uscì ed era notte”, ma era la notte del buio del suo vuoto; era la notte in cui si consumava e si era consumata l’ultima cena. Pietro, invece, fa il galletto: “No, non gli succede niente, ci sono io!” o “Io ti seguirò!” e Gesù: “Mi seguirai, ma non ora. Ora hai paura di te stesso. Mi rinnegherai tre volte”. E Pietro si mette a piangere quando sente il gallo che canta tre volte e, guardacaso, proprio allora Gesù passa in quel bellissimo e terribile pellegrinaggio da un tribunale all’altro, da Ponzio Pilato al furor di popolo. Nel bene o nel male? Questa è la domanda che ci dobbiamo porre. Quando in un’assemblea di classe dobbiamo decidere, vince l’opinione di chi è più attraente, più importante; o vince la parolina che ha detto quello che non è mai considerato, anche se dice cose che mettono tutti alle strette? Questi sono gli esempi per i quali dobbiamo renderci conto che il Vangelo è vita, non è la favola a lieto o a triste fine, a seconda che abbiamo fede o meno. È un’esperienza di vita che facciamo con Colui che è venuto per darcela, per dare un senso alla nostra vita.
F: Grazie. Un’altra domanda ora. Qual è il ruolo, il compito, l’onere di una guida, di un pastore, per la comunità in questo momento di oscurità?
A: Mantenere alta la speranza. Mantenere alto il livello, potremmo dire in termini sportivi, l’asticella della sfida che abbiamo davanti. Ricordo di aver avuto problemi quando facevo educazione fisica: “No, ma io non la supererò mai”. Alla fine ci ho provato, ci sono riuscito, ma mi è rimasto un dolore forte al ginocchio terribile (ride ndr). Sì, devi pagare lo scotto. Però sei soddisfatto di te stesso. Ti fai capace del fatto che sei andato oltre. Giuda, invece, vuole scommettere. Forse non avrebbe mai immaginato che la cena sarebbe andata a finire in un certo modo, perché forse non aveva mai preso sul serio quello che Gesù insegnava. “Tanto questo fa i miracoli; non può succedergli niente”. I miracoli, ricordatelo, sono segni dei quali dobbiamo riconoscere il significato. Dividere il pane con il prossimo è il ricordo dell’Eucaristia, ma anche dell’autoaiuto. A questo proposito c’è un altro dei particolari del Vangelo che cito sempre. Il paralitico che viene guarito da Gesù. Dopo la guarigione, Gesù gli dice di prendere il lettuccio e di tornare a casa sua. Ma al paralitico a cosa serve la barella una volta che può camminare e può andare in giro e dormire sotto gli alberi o in una capanna? “Porta con te il segno della tua fragilità”, questo significa. Ecco cosa significa fare Pasqua. Ecco che cosa significa ricordare la passione di Gesù. Gesù, quando risorge, come si fa riconoscere dagli apostoli? Ti ricordi questo particolare?
F: Sì, mostra le ferite.
A: Bravo, le mani e il costato. Perché lo credevano un fantasma. Allora si aprirono loro gli occhi. Ma gli occhi dei discepoli di Emmaus si aprirono anche per un altro gesto fatto da Gesù: quando camminò con loro, senza essere riconosciuto, quando con loro sedette a tavola, prese il pane, lo spezzò; allora si accorsero che era davvero Lui. Lo riconobbero nell’Eucaristia. Lo riconobbero nella fractio panis. Nel donare se stesso. Ma Egli sparì dalla loro vista, perché quando abbiamo la Parola, cioè quel lungo dialogo fatto tra Gesù e i discepoli, allora si aprono gli occhi. Altrimenti, se il Vangelo resta enciclopedia della fede, se resta un libro di storia o di cultura, ma non apre in nostri occhi, possiamo avere una fede culturale, ragionata. La fede deve essere anche ragionata, ma quando dico, Parola del Signore nelle omelie, significa che Dio ci ha parlato in quel momento. Questo è un punto importante, con una deduzione semplice: io vivo nella storia, Dio è eterno. Anche se quei libri sono scritti 3000 anni fa, la Sua eternità continua a dialogare con me attraverso questi scritti; in particolare nel Nuovo Testamento, ma anche nell’Antico Testamento. Perché è un libro di vita. Pensiamo ai proverbi, alle storie di tanti personaggi, perché nella Bibbia troviamo di tutto e di più: dalla più alta realizzazione dell’uomo e del divino in Gesù, alla più bassa recriminazione che inizia con il peccato originale? No. Con Caino e Abele. Perché il peccato originale è ancora dentro di noi, anche se siamo battezzati. È dentro di noi, perché, in quanto figli di Adamo ed Eva rispondiamo spesso a tre verbi: lo vedo, mi piace, lo voglio. Ma tra il mi piace e il lo voglio dobbiamo chiederci: “mi fa bene?”. A voi giovani lo ripeto spesso, quando senza remi navigate in internet. Che cosa andate a cercare? Ecco come le parole del Vangelo diventano formazione ed educazione alla fede. Poi se uno capisce che non solo gli piace o non gli piace, ma gli fa bene, è cosa buona per lui, e questo bene deve cercare. Nella parola di Gesù si trova sempre del bene.
F: Ecco, a questo proposito. Negli ultimi tempi si parla sempre più spesso della dispersione giovanile. Moltissimi ragazze e ragazzi si allontanano sempre di più dalla lettura della Parola. Può essere questo momento un’occasione importante per riscoprirla?
A: Ogni occasione può essere positiva per avvicinarsi o allontanarsi: dipende dalla disposizione del nostro cuore. Perché c’è chi ritrova in queste occasioni la fede, la forza nella parola di Dio. Io ho perso il mio papà per un tumore nel ’72 ed è stato un momento di prova della mia fede. Diversamente mi sarei sentito tradito, ferito. È stata una tappa fondamentale della mia maturazione e ognuno ha le sue tappe e le sue esperienze. Nel bene, le realizzazioni, le promozioni; e nel male, le delusioni, i fallimenti. Ognuno ha le sue tappe e queste tappe ci mostrano un modo nostro di maturare, per dare senso alla nostra vita. I giovani trovano spesso rifugio nel volersi superare a vicenda, nel volersi sentire più forti degli altri e mandare tutti e tutto a quel paese… tanto io me la vedo da solo. Poi basta una buccia di banana per la strada, reale o simbolica, una scivolata e… dove andiamo a finire? Anche quella scivolata può servire nella nostra crescita.
F: Grazie. Un’ultima cosa. La quarantena ha costretto tutte le famiglie italiane a convivere intere giornate sotto lo stesso tetto, mentre prima si cercavano solitudine e indipendenza. Uno dei lati positivi di questa quarantena potrebbe risiedere nel fatto che forse verrà riscoperta l’importanza dell’amore familiare?
A: È così, ma non dobbiamo darlo per scontato. Perché si dice che non c’è matrimonio dove non si piange e non c’è funerale dove non si ride. Il dolore e la gioia vanno sempre insieme. Fanno parte dell’esperienza umana. A ciascuno di noi può sempre capitare una cosa buona, ma anche una cosa negativa. La reazione dipende dalla disposizione che abbiamo: una prima parte è l’impulsività. Non siamo robot. Ma abbiamo l’intelligenza, la volontà. Si chiama discernimento, ossia distinguere il bene o il male o, meglio ancora, il mi fa bene dal mi fa male.
F: Una domanda per salutarci. Qual è il compito capillare svolto dai singoli sacerdoti nelle proprie comunità? (suonano le campane, ndr)
A: Eh, annunciano la Pasqua, anche se siamo lontani (ride, ndr). Io, ad esempio ho dato la disposizione di lasciare le chiese aperte. Molti l’hanno seguita, altri hanno avuto paura. Ma dobbiamo dare fiducia alla gente, lasciare che una, massimo due persone per volta entrino in Cattedrale per una piccola visita. E questo è il senso della fiducia. Il fatto che io debba celebrare in una chiesa vuota, senza popolo, con due o tre persone che devono stare a distanza anche da me, mi fa sentire il vuoto, ma aumenta l’atto di fede non solo in quello che faccio, ma anche in quello che segue, perché lo fa il Vescovo, se lo si vuole. Stasera (7 marzo, ndr), alle ore 19 farò l’ultima lectio divina, che, ti anticipo, dedicherò a tutti i volontari nelle case di cura, nelle istituzioni sanitarie: la lavanda dei piedi, perché si segua il vero significato della lettura: Gesù prima di morire ci ha lasciati con questa consegna “come ho fatto io, fate anche voi”.Ad ogni modo, auguro a tutti voi ragazzi una buona Pasqua. Sai che significa Pasqua? Passaggio, ma non passaggio a livello, che trovi chiuso (ride, ndr), come quelli che vanno alla tomba e la trovano vuota. È un passaggio aperto dalla vita a una vita ancora più consapevole, dalla sofferenza alla speranza, da una gioia a una gioia superiore, che è la conoscenza della Sua Parola. Ancora auguri di cuore e un abbraccio a te, ai tuoi amici e a tutta la scuola.
F: Grazie, Eccellenza, buona Pasqua!
