«Il cancro mi ha reso frivola o qualcosa di simile, ma non chiamatemi guerriera» ecco come Rita vuole vincere la sua battaglia

È una meravigliosa lettera aperta quella che Rita Treglia condivide con Leccenews24. Scoprire il cancro a 49 anni non è facile ma per vincerlo ci vuole una rivoluzione di vita e una tempesta di verità.

«Quando parlo agli altri del mio cancro e delle mie emozioni spavento perché ne parlo in modo sereno, perché parlo delle mie emozioni, perché mi sento diversa e lo comunico. Ho spaventato fin dal momento della diagnosi.  Però per alcuni che si sono spaventati non so più dirti quanti, invece, apprezzano la condivisione dei sentimenti, dell’anima, nel percorso. Quindi non privatizzare mai il cancro, perché tu sei tu, sei una persona col cancro, sei una persona con il suo percorso di cura e il suo tempo. Il tuo tempo è tuo. Solo tuo e condividere le emozioni, tutte, è un bel modo di battere il cancro e di scrivere del tempo nel migliore dei modi, avendone cura»

Ha troppa energia, Rita, adesso. Troppa energia per fermare la sua valanga. Il cancro non l’ha fiaccata, non l’ha spenta, non l’ha isolata. Le ha solo cambiato scenografia: era prima una comparsa sulla scena della sua vita, adesso ha voluto impossessarsi della macchina da presa per diventarne la regista. La malattia le ha cambiato prospettiva: nell’aula della vita dai banchi è passata alla cattedra. E la luce che ha voluto accendere, l’ha usata soprattutto per illuminare la sua anima che aveva dato in pasto, come facciamo tutti, agli impegni e alle assurde priorità che mettiamo nella hit parade dell’affannata quotidianità.

A 49 anni non è facile fare i conti con il cancro. È un vestito che pensi di non dover indossare, soprattutto sei hai due figli a cui dedicare le energie che ti restano dopo il lavoro.

Poi vai a sbattere forte contro il muro della diagnosi, della verità. E ti verrebbe voglia di metterti nel letto e non alzarti più. Tenere abbassate le tapparelle, chiuse le tende, serrata la porta. Poi ti scoppia dentro la vita, che non vuol dire non aver paura. Vuol dire solo che capisci che da quel letto ti devi alzare, anche di corsa e devi concentrarti su te stessa e su tutto quello che c’è da fare per tirarla alla lunga, ancora. Perché il tempo di finirla non è proprio arrivato. Anzi è tempo di vincerla questa battaglia. Per chi ami e per te stesso. E per vincerla devi uscire dall’isolamento in cui il cancro ti vuole infilare.

«C’è stato un momento che avrei voluto stare a casa, andare a casa, stare chiusa da sola nella mia stanza. Sola. Un momento, solo un istante perché ho capito subito che avevo bisogno di non restare sola e privatizzare il cancro. Quella notte mi sono concentrata soltanto a come vivere la mia cura, il mio tempo senza pormi la domanda di quanto fosse. Come vuoi viverlo tu? Poniti questa domanda, una volta che hai trovato dentro di te la risposta, avrai in mano il bandolo della matassa. È una matassa, lo so. So anche questo. Ed è di acciaio ma puoi concederti di vederla quanto più simile alle tue corde. Alle tue corde, non al cancro, ma a te, nella tua interezza di persona »

La chemio è diventata una sua alleata adesso, non la nemica che non puoi nemmeno nominare. Si è messa al centro dell’itinerario di cura dal quale vuole uscire come si torna da un viaggio, stanchi ma felici per essere arrivati alla meta dopo aver imparato tanto, tanto del mondo e tanto di se stessi.

Era una donna in carriera Rita: «ero quella che stava sempre sul pezzo, mai truccata, sempre di corsa, corsa mentale compresa. Immaginami ferma, rilassata a contemplare me stessa che fa fuori un copri-occhiaie liquido perché non sa neanche come si apre. Mi sto mostrando anche a te, ora, sto mostrando che mi sono concesso di essere leggera, di aver inserito, nella mia vita, frivolezze che prima consideravo perdita di tempo e mi sono concesso tutto il tempo di ridere di me “leggera” e mi sono concesso di mostrarmi agli altri».

È la leggerezza – quella cosa che lei chiama frivolezza – che l’ha presa per mano e l’ha fatta volare sulla malattia, mostrandole spazi di vita che non conosceva. Come? Stai male, hai il cancro e pensi alla leggerezza e alla frivolezza? Sì, perché è in quella dimensione che si nasconde il senso stesso della vita. Uno sguardo tenero su chi ti circonda e su te stessa, su quella parte di te che non vedevi nemmeno allo specchio.

«Strano, vero? che io ti parli di perdere tempo con momenti leggeri, quando per noi il tempo diventa importante e nello stesso momento ti dica che devi prenderti tempo per decidere come tu voglia vivere il tuo percorso. Lo so. Ma vedrai che capiterà anche a te e sorriderai pensando a ciò che ti sto scrivendo quando imparerai a dilatarne la percezione per ogni cosa che ti accingerai a fare. E succederà. Prenditi tempo per comprendere il tuo percorso di cura, sei tu il soggetto di cura all’interno dell’equipe. E stabilisci insieme ai tuoi medici le tue tappe. Una cosa alla volta, un passo alla volta e per ogni passo lasciati prendere per mano. Non hai idea di quanto servano le mani e di quante mani servano. Prenditi le parole, quelle belle, quelle che scaldano. Prenditi tramonti e albe e lascia che ognuno intorno a te trovi il suo modo per starti accanto. Non privatizzare il cancro. Non chiuderti

Non chiamatela guerriera, però. La sua non è un’armatura. Non serve l’armatura, non serve la scorza «So che sei forte e non devi dimostrarlo a nessuno- Ti potrebbe capitare di dimenticare quanto peso sia essere forti, non c’è nulla di male a sentirsi stanchi; quello che ti sentirai ripetere, in quella situazione, sarà “sei un guerriero”, a quelli che mi chiamano “guerriera” mi viene sempre da chiedere “di quale periodo storico parliamo, di grazia?”. Stanca essere forti per se stessi e per gli altri».

A presto, Rita, allora. A presto, quando tutto sarà alle spalle e avrai voglia di quel caffè in riva al mare mentre il vento ci accarezzerà ancora i capelli e il sole ci arrossirà il viso.



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